Le figure rappresentate negli affreschi sono molte, e tutte possiedono in qualche misura valenze simboliche. Nasini volle rappresentare la vita di corte in uno dei momenti più importanti, ossia quello della caccia, e rappresentò un gran numero di animali, oltre che selvatici, anche domestici quali i pregiati suini della razza cinta senese con l’inconfondibile fascia bianca, e addirittura esotici come una giraffa, simbolo dell’opulenza del Re e della sua filiazione culturale con i fasti dell’impero di Roma. Sotto la composizione, l’iscrizione presentata dai due angioletti, questa volta recita : “ Sopra un abete il Re dall’alto regno con trina face in un doppier si mostra, ad un re pio. Son questi il luogo e il legno”. E a lato, in latino: “Divina grazia operante, Rachis il loco apparitionis erigi jubet Abbatiam S. Salvatoris quam regie ditat…”. Francesco Nasini ha dunque voluto didascalizzare la sua opera d’affresco, ricordando come dopo la straordinaria apparizione, re Rachis abbia disposto che in quel luogo venisse eretta un’Abbazia.
Sono sensazioni difficilmente descrivibili quelle che si provano al cospetto di fatti del genere. Al di là del valore artistico dell’opera, pregevolissimo, l’essere qui rimanda a realtà altre, trascendenti dalla nostra condizione di uomini, eppure umanissime, e che benchè sfumate nell’etere dell’anima possono essere solide più di una corazzata.
E’ bello sapere che l’Onnipotente ha scelto ancora una volta la caccia quale occasione per manifestare la sua presenza visibile: un motivo in più, e che motivo, per onorarla davvero praticandola con la nobiltà del cuore, e con tutta la passione dell’anima.
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