Pare quasi di percepire ancora i latrati echeggiare nei meandri della selva e addirittura di sentire l’odore acre del sudore dei cavalli, raffigurate come maestose armonie di muscoli e sangue pulsante. Finalmente inizia la caccia, ed è uno sguinzagliare di veltri dietro coppie di lepri, un tendere reti ad istrici e un braccare cervi seguendo i cani sulla sella delle cavalcature bardate apposta per affrontare il bosco. La scena madre è in basso a sinistra, dove un feroce cinghiale sta combattendo con due grossi segugi bianchi, eredi di quei molossi che solo da poco hanno di smesso di affrontare orsi e leoni nelle arene di Roma. Il re e altri due cacciatori stanno balzando sulla bestia armati di picche, e il sangue che esce dal mantello del verro bagnando le setole ispide dell’animale, pare fiottare ancora vivo e caldo come quello che sgorga dalla gola del segugio investito dalla furia belluina della fiera. In un riquadro fuori dalla scena, si legge : “ Rachis Rex longobardorum e Clusio erga montem amiatum venatur egressus – mirabili in eo loco Salvatoris mundi super abietem apparitione” . E’ la storia di quell’uscita, il sigillo che ad imperitura memoria ricorda come durante quella cacciata sontuosa e selvaggia, sull’alto di un abete, a re Rachis sia apparso il Salvatore. E difatti, sotto l’affresco campeggia una scritta tra i cartigli dispiegati dagli amorini: “ Il dardo invitto eroe deh lascia, e l’arco, solo l’cuore è l’arnese onde potrai prender la preda che t’aspetta al varco”. Dunque a re Rachis, toccò il medesimo avvenimento che tempo dopo investì anche la vita di Uberto, il vescovo cacciatore delle Ardenne, con la differenza che il monarca longobardo non vide una croce fiammeggiante, ma proprio il Signore nelle sue fattezze umane. Girando lo sguardo a sinistra, il dramma mistico si presenta compiuto: il re e sua moglie, circondati dai dignitari,dai cani da caccia e dai cavalli, sono inginocchiati sotto l’abete alla cui sommità appare Gesù benedicente con in mano una sorta di tridente da cui si irradia una luce salvifica, mentre accanto al sovrano genuflesso si aggirano due dei suoi segugi preferiti e giace la corona, inutile orpello al confronto della verà Maestà.
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