
la pluricampionessa Gaia Di Campello
La via della selezione è sempre irta di difficoltà d’ogni genere. Cosa ricerchi in un cane da seguita? Quali caratteri ritieni indispensabili per far si che un segugio meriti davvero questo aggettivo?
“La risposta, talmente semplice che ai più potrebbe apparire finanche banale, è tutta nel nome: cane da seguita, segugio. Che cane da seguita sarebbe se non seguitasse? La seguita è la fase successiva allo scovo, quindi la risposta è: lo scovo. Dunque sia nella difficilissima caccia alla lepre, che in quella più rumorosa e sanguigna al cinghiale non vi può essere seguita se prima non abbiamo scovato il selvatico, che sia al covo oppure alla lestra. Poi, è chiaro che vi sono tantissime sfumature di rilievo che delineano il segugio bravo. La fase di cerca in entrambe le tipologie di caccia è fondamentale, deve essere ampia, accorta nell’accostamento, difficilissima per la lepre, un po’ meno per il cinghiale. Cruciale e difficile la fase dello scovo nella caccia alla lepre, così come l’abbaio a fermo in quella al cinghiale, di cui è tratto fortemente distintivo. Ed infine la seguita, che nasce e scorre come un fiume in piena che si infrange sulle rive e che più e potente e più e fragoroso nelle sue sfumature di tonalità e timbri, irta di silenzi che contraddistinguono i falli per poi ripartire in roboante sinfonia di voci armoniose.”
Considerate le attuali condizioni della caccia alla seguita nel nostro Paese, cosa intravedi all’orizzonte? Ritieni ancora possibili i lunghi inseguimenti che hanno caratterizzato questa disciplina nel passato, e forgiato fra campi e boschi tante importanti linee di sangue?
“Qui ritengo necessario un accenno sociopolitico alla fase epocale che stiamo vivendo. Ho ragioni di presumere che siamo l’unico paese al mondo dove la caccia venga vissuta in una modalità che sfiora l’aria che si respirava ai tempi dei moti carbonari prima dell’unità d’Italia. I motivi? Un paio. In primis il fatto che il territorio realmente disponibile per questa attività sia

Ziotto Di Campello
oggi appannaggio di carrozzoni che succhiano il sangue di tutti i cittadini italiani, senza dare in cambio nulla alla comunità tutta, anzi privando il cittadino di usufruire in modo regolamentato della bellezza dei nostri monti, colline e pianure. E’ come avere a disposizione tanti fortissimi atleti e non avere le palestre per allenarli. Per fortuna che ancora c’è l’Ente nazionale per la Cinofilia, meglio conosciuto come Enci , che a tutela di tutte le razze canine, assieme alle società specializzate ancora mantiene in vita delle prove zootecniche, assolutamente incruente, le quali oltre a controllare il livello raggiunto dalle nostre razze di segugi incrementano l’allevamento ed il miglioramento delle stesse. Ma continuando di questo passo, sopportando sempre maggiori difficoltà per organizzare tali prove in contesti realmente adatti, si rischia di ricorrere a dei surrogati, che nel tempo annienteranno le future leve cinofile e le loro aspirazioni di vivere la natura con il loro amato segugio.”
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