“Ricordati che stai sposando prima i cani e poi me”, così Vincenzo Soprano si rivolgeva alla sua
sposa vestita di bianco, sull’altare della chiesa. Queste poche parole rivolte alla donna della sua vita nel loro momento più importante, è attestazione di quanto l’amore profondo per i cani, la passione viscerale per la caccia e il genuino, radicale trasporto verso le “rerum naturae”, le cose della natura, abbiano giocato un ruolo fondante nella sua vita personale. Docente di sostegno e tutor universitario, già decorato ufficiale dell’esercito, esperto giudice Enci nazionale e internazionale, nonché titolare di uno dei più prestigiosi allevamenti di segugi d’Italia e non solo, Vincenzo Soprano è quel che si può definire un esegeta del cane da seguita. Difatti, i risultati conseguiti sono l’eloquente testimonianza di una carriera difficilmente eguagliabile. Con il suo affisso “Di Campello”, il professor Soprano ha rappresentato per ben due volte l’Italia alla Coppa Europa su lepre; ha ottenuto oltre duecento Campioni Sociali proclamati su lepre, molti su cinghiale, ben quattro Campionati Sociali su lepre ( Lavoro+Expò) vinti con il titolo di Miglior Muta Assoluta, un Campionato Sociale in classe Coppia su Cinghiale, quindi ancora diversi Campioni Italiani di Lavoro, circa una cinquantina di Campioni Italiani di Bellezza nelle due razze allevate, diversi Campionati Italiani sia su lepre che su cinghiale. E come se non bastasse, innumerevoli volte Best in Show sia con i segugi maremmani che con i segugi italiani, molte volte Miglior Gruppo Assoluto, Miglior Coppia Assoluta in campionati sociali e raduni di razza, oltre a Nazionali ed Internazionali. Infine, ciliegine su una torta già ricchissima, le seguge maremmane Furia di Campello, Campionessa del Mondo di Bellezza nel 2014 alla Mondiale di Milano e Rosa di Campello, Campionessa Europea a Budapest nel dicembre 2021.
Considerato il caleidoscopico palmares di Vincenzo Soprano, sono molte le domande che si affacciano curiose cercando di carpirgli un segreto, di rubargli un episodio, di godere di una genuina emozione.
Vincenzo, la tua passione per la caccia col segugio è profonda e radicata in te, e viene da lontano. Quali sono stati i tuoi inizi? E i tuoi maestri?
“Sono convinto che il fatto di essere nato e cresciuto in un ambiente contadino pastorale abbia influito in modo abbastanza deciso sulla mia passione venatica prima e cinofila poi. Da sempre la mia famiglia ha posseduto cani da caccia. Mio nonno paterno Angelo Antonio, cacciava le istrici ed i tassi con il mastino napoletano. Il cane era un componente della famiglia, basti pensare, raccontava mia nonna, che mentre loro erano nel campo a lavorare, Nina la mastina napoletana aveva imparato con il muso a dondolare la culla di mio padre in fasce per non farlo piangere. Il nonno non aveva la licenza di caccia, mio padre invece si, e pur nascendo e rimanendo segugista lepraiolo, negli anni settanta con l’arrivo della bestia nera, diventa anche cacciatore di cinghiali. Fino agli anni novanta eravamo gli unici ad avere i cani da cinghiali in paese.
Se dovessi scegliere dei maestri che mi hanno indirizzato, di certo oltre a mio padre, la sua segugia da lepre, Furia, una manto fulvo zaino che inseguiva da mane a sera le lepri sulle nostre pietrose montagne disdegnando qualsiasi altro selvatico, mentre per quanto riguarda il cinghiale, Gek, un cosidetto meticcio, ma di certo un cane infinito.. Circa la pagina dedicata alla cinofilia, il mio maestro non può essere altri che Mario Quadri. In ultimo ma non meno
importante, fra i miei maestri annovero il ruolo che ha avuto il contesto sociale nel quale sono cresciuto. Finito il tempo scuola mattutino, i miei pomeriggi vivevano la vita della campagna e della pastorizia, e i miei Natali, le mie Pasque e le mie vacanze estive scorrevano in montagna dietro alle capre ed alle mucche, mai senza un cucciolo di segugio che iniziava a scagnare le sue prime lepri mentre io osservavo incredulo le sue prime manifestazioni espresse solo con il dimenio della coda e poi con scagni dapprima timidi gemiti che via via diventavano vocalizzi sempre più sincopati.”
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