Se, nel tentativo di ribattere un uccello scampato al nostro fucile, ci dovessimo
trovare in un ambiente chiuso, cioè senza orizzonte visivo, come un canneto, un bosco o il greto cespugliato di un fiume, consideriamo di guadagnare una posizione in cui sia possibile dominare almeno una via di fuga dell’animale, evitiamo di entrare anche noi nel cuore del fitto e resistiamo al richiamo di stare troppo sopra al cane, ammesso che l’andatura di questo lo consenta: là in mezzo non ammazzeremo mai il fagiano anche se si leva tre metri davanti a noi. Facciamo invece lavorare il nostro amico a quattro zampe e stiamo con gli occhi ben aperti, ma anche con le orecchie tese, perchè se si tratta di una femmina in casi come questi potrebbe essere silenziosa come un soffio d’aria, e volerà rapida fra i cespugli come un merlo mantenendo una quota bassa anche per venti o trenta metri.
L’abbiamo detto tante volte: il fagiano non è la selvaggina adatta per il cane da ferma. Il gallinaceo tende a pedinare e a trovare sovente rifugio in posti dove il puntatore risulterebbe inutile, se dovesse limitarsi a svolgere il compito nei canoni dell’ortodossìa di razza. E’ altrettanto vero però, che noi nembrotti d’Italia lo abbiamo sempre insidiato con i fermatori, anche se dalla prospettiva della filologia tecnica ciò è sbagliato senza alcuna discussione. E’ una storia vecchia, questa: ormai eviscerata ed affrontata in ogni sede, e sempre chiusa con la rassegnata considerazione che dal fagiano non è possibile prescindere. Sarebbe ora anzi, poiché nulla è immutabile, di cominciare a selezionare correnti di pointer, setter e compagnia fermante, proprio sul variopinto e corpulento pennuto,
ossia privilegiare quei soggetti che non appena ne percepiscono l’odore, cambiano sistema operativo e vi si adattano con fluidità, rompendo la ferma, entrando nel pruneto, oppure dettagliando le briciole d’usta direttamente dal terreno. Eresia? Per adesso si. Però non mi stupirò, quando e se toccherà ai nostri nipoti d’andare a caccia, di vedere pubblicizzato il tale o tal’altro allevamento di setter, pointer o bracchi italiani “…autentici fagianai, figli di campioni specialisti su questo selvatico!”. Trattenete il disgusto: che nulla sia eterno, nemmeno nel “sacro campo” della cinotecnica, lo prova, se ce ne fosse bisogno, l’aneddoto che mi raccontava tanti anni fa un anziano, espertissimo, nembrotte valdarnese, il quale, soprattutto nelle mattinate d’apertura degli oramai remoti anni sessanta, quando s’accorgeva che il suo setter stava fermando un fagiano invece di una starna, lo distoglieva legandolo e cambiando zona. Oggi, un simile comportamento provocherebbe scrosci d’ilarità in pieno campo e susciterebbe dubbi seri sulla sanità mentale di chi l’adotta, ma all’epoca, quando ancora le starne non s’erano trasformate in uccelli del paradiso, questo era del tutto normale se si avevano anche modeste velleità di purismo cinofilo. Chi mai avrebbe detto, in quel tempo, di come invece i nobili fermatori britannici si sarebbero dovuti adattare sopra ogni altra cosa a cercare i fagiani, nei giorni di settembre? Nessuno, e se qualcuno lo avesse fatto, sarebbe stato messo al rogo. Dunque, pur riconoscendo agli spaniel un congruo e sacrosanto diritto di prelazione su questo uccello, dovremo impegnarci a farlo cacciare sempre più e sempre meglio ai nostri cani da ferma.
APERTURA AL FAGIANO : LA SFIDA
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