L’antico detto che indicava nei giorni successivi agli “stratempi”, ossia alle giornatacce acquose e ventose, i giorni migliori per perseguire questa selvaggina, andrebbe inteso solo come l’osservazione di una maggiore attività dei beccaccini, che saranno senz’altro più visibili, ma decisamente molto meno proficuamente cacciabili.
Il vento, durante la caccia, è un altro di quegli elementi da tenere costantemente sotto controllo. Esso gioca un ruolo importante. Anzi, importantissimo. Innanzitutto non crediamo di dover andare sul beccaccino sempre e comunque sottovento come in una cacciata alle starne o al fagiano. Ovviamente, in condizioni di ventosità moderata ci avvicineremo come al solito, sottovento, consentendo al cane di lavorare razionalmente e di localizzare e bloccare a giusta distanza il selvatico. Ma se il soffio dovesse essere impetuoso, allora sarà bene procedere in maniera opposta, sopravvento, ossia con il vento alle spalle. Questo perché quando la brezza è molto forte il cane avrà sempre enormi difficoltà ad individuare olfattivamente la posizione del selvatico, ed a calcolarne la giusta distanza. Il beccaccino di solito tende sempre ad alzarsi contro vento, e ad involarsi in quella direzione. Pertanto se la ventosità è molto accentuata, e noi avanziamo sottovento, ci troveremo nella condizione di duplice handicap di non poter godere di una proficua ferma del cane , il quale potrà fare poco con quel turbinìo impetuoso nelle nari, e di veder allungare la distanza di tiro in maniera drammatica, considerando che la rosata verrà ostacolata e smembrata da mille rivoli ariosi e che, soprattutto, il beccaccino partirà nella direzione opposta a quella da cui stiamo venendo. Un altro caso in cui sarà opportuno avanzare col vento “in poppa”, è quello costituito dalla ribattuta: ossia quando un selvatico è stato fermato, alzato e magari padellato, e lo si vuole continuare a perseguire. In questa situazione è conveniente riabbordarlo dalla parte opposta a quella da cui era stato avvicinato la prima volta, semplicemente perché lui ricorda ancora il lato dell’aggressione precedente, ed è lì che starà maggiormente attento. Come si suol dire, incredibile ma vero. Per completare la rosa delle eccezioni, si può ricordare il caso costituito dai giorni in cui il beccaccino si lascia avvicinare male perché, come abbiamo visto prima, se ne sta tutta la mattina in giro a mangiucchiare. In queste giornate il folletto alato sarà tratto in inganno dal rumore del nostro avvicinarsi portatogli dal vento, e tenderà a rimanere fermo, impaurito, potendo così essere sorpreso più facilmente dal cane, il quale in questi casi lo fermerà di fianco. Inoltre il tiro sarà più corto, almeno in prima canna, poiché, come si è visto, questo selvatico tenderà molto spesso a levarsi ed a volare controvento, ovvero, in questo caso, verso di noi. Teniamo d’occhio anche l’orologio: i momenti migliori sono il paio d’ore che seguono la piena levata del sole, e le due ore e mezzo che precedono il tramonto. Non a caso molti grandi cani beccaccinisti riuscivano ad essere tali solo durante il tardo pomeriggio: semplicemente, i loro proprietari andavano a caccia alle nove del mattino. A quell’ora i cani
non potevano fermarli per l’unica ragione che i beccaccini non c’erano più. Avevano cambiato zona , per poi rientrare “a casa” all’ora …di cena!
In ogni modo, mai come nel caso del beccaccino, il dogmatismo dovrebbe essere lasciato da parte. Qualsiasi, fra le considerazioni sopra esposte potrebbero essere oggetto di dibattimento, disquisizioni e disaccordo. Tuttavia ciò che ho detto è il frutto di personale esperienza, e di comparazione di questa con esperienze ben più ampie ed importanti della mia. E’ vero quindi che ogni regola ha le sue eccezioni, ma è altrettanto vero che una regola è tale perché ha dimostrato, validamente, di esserlo.