Chi può dire oggi, di poter impostare l’apertura sulle starne? Chi farebbe dieci chilometri in salita con l’aspettativa di aprire la caccia contando sulle grigie e su qualche quaglia? E’ evidente che la visione offerta dal Chianini ci riporta ad un periodo non più riproponibile, ad un tempo in cui era normale attraversare con il fucile in spalla un paese bagnato da torrenti sorgivi, ad un epoca in cui era plausibile aprir la caccia perseguendo starne nei pressi di un venerato santuario, e poi riposarsi, con armi, cani e selvaggina in mezzo ai numerosi pellegrini. Ecco, la cronaca di Chianini fornisce l’esatta misura di quanto incongruente oggi sia parlare di aperture a starne, e di come tutto abbia subito un irreversibile processo di mutazione.
Eppure, fino ad una cinquantina d’anni fa, ancora si poteva. Durante gli anni cinquanta e sessanta, poteva aver senso parlare di aprire le cacce puntando sulle starne. Molte plaghe della Toscana, dell’Emilia o del Piemonte erano abitate da notevoli contingenti di questi uccelli, tanto mitizzati quanto però delicati, schizzinosi ed esigenti. Il fagiano c’era già da diversi decenni, ma ancora non ne aveva preso il posto in maniera determinante e dirompente, complice anche il maggior spazio vitale a disposizione ed indubbiamente la minor pressione venatoria. Ed in tanti casi, più di quelli che si possa immaginare con gli occhi di oggi, la starna era ancora considerata la regina dell’apertura. A tal proposito ho una testimonianza emblematica, di credibilità cristallina e provata, che vorrei condividere con gli amici lettori. All’inizio degli anni novanta, ebbi la fortuna di conoscere un anziano cacciatore valdarnese di nome Fortunato. Questi era sempre stato un grande appassionato di cani da ferma, ed il cuore di questa sua passione era rappresentato dalla caccia alle starne. Mi raccontò di un’apertura del ‘sessantasei, la ricordava bene a causa del devastante alluvione che nel novembre di quell’anno inondò Firenze, in cui di buon mattino si recò a mezzo di lambretta, col cane sul predellino ed il doppiettone a tracolla, nelle piagge che da Figline Valdarno portano verso il Chianti. Era un operaio, Fortunato, e quel mezzo poteva quasi considerarlo un piccolo lusso.
L’ISOLA CHE NON C’E’ : APERTURA D’UNA VOLTA ALLE STARNE
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