Sentito che roba? Il viandante narratore è nientemeno che Vincenzo Chianini, quando nel suo aureo “In montagna e in Maremma” del 1928 descriveva un giorno d’apertura alla Verna, il più celebre dei santuari francescani dopo Assisi. Leggendo questo passo, che ho molto parzialmente riportato, la bravura dello scrittore ha
creato attorno a me un immaginario completo, un affresco particolareggiato nel quale sono rappresentati tutti gli aspetti del suo tempo. Ho immaginato di salire anch’io a piedi verso il monte con lo schioppo in spalla attraverso Chitignano, il “pugno di case sparse” le cui strade sono intrise di acque sorgive che ne bagnano gli orti e le corti. Ho fantasticato, immedesimandomi nella parte del cacciatore dell’epoca che si addentra nella selva di castagni fino al crinale, dal quale godere di uno spettacolo meraviglioso. Ho rivisto anch’io il panorama della valle dell’Arno, e mentre scrivo accarezzo con lo sguardo la mia doppietta a cani esterni riposta in rastrelliera, simile forse a quella che portava Chianini quel giorno d’apertura di novant’anni fa. Non ho avuto difficoltà ad addentrarmi in tutte le sensazioni che il maestro toscano ha saputo ricreare con la magia della sua penna fin quando ha iniziato a parlare di starne, con le quaglie, la sola selvaggina che viene menzionata. Qui ho provato un vistoso sbandamento. Era come se qualcosa mi forzasse ad uscire da un sogno, mi volesse riportare alla mia vera dimensione temporale, mi costringesse a riaprire gli occhi.
La mia esperienza venatoria cosciente, quella davvero vissuta, non contempla aperture a starne. La starna in qualche occasione c’è rientrata, ma è stato un target occasionale, benchè graditissimo malgrado lo sapessi frutto di un’operazione di ripopolamento. Andando ancora più indietro con la memoria, quando bambino di sette-otto anni offrivo ai miei zii ed a mio nonno i servigi di cane da riporto nella caccia alla migratoria in cambio della promessa di una fucilata e di qualche uscita con i cani da ferma o da seguita, ricordo un pomeriggio d’apertura, a ferragosto, la mia meraviglia nel veder frullare una coturnice, una di quelle greche, abbattuta, riportata e da me ghermita per poterla finalmente toccare dal vero. Non era una starna, ma direi che ci si poteva accontentare.