Il suo cane, un setter inglese che aveva un nome banalissimo, qualcosa come Bill, era uno specialista sulle starne. Talmente specialista che Fortunato, essendo riuscito a discernere l’atteggiamento con cui il cane le segnalava, lo aveva condizionato a rompere la ferma e venir via quando si rendeva conto che l’animale perseguito una starna non era. Parcheggiò la lambretta sotto un albero, sciolse il cane e dopo una mezz’oretta di cammino assistette alla prima ferma. Notò l’atteggiamento non perfettamente seduto, con la coda in leggero, quasi impercettibile movimento e comprese all’istante che non si trattava di starne. Richiamò a stento il cane, lo mise al guinzaglio e fece per allontanarsi. Alle sue spalle partì una fagiana, che Fortunato lasciò volar via spaventata ma indenne. Lui voleva fare un’apertura mattutina sulle starne, come faceva ormai da vari anni, utilizzando un cane al quale aveva abbattuto solo questa selvaggina e che intendeva rendere sempre più uno specialista. Un suo amico aveva un altro cane, un “mezzo breton” diceva lui, che avrebbero adoperato insieme al pomeriggio per tirare a quel che si levava senza badare troppo per il sottile, ma la mattina dell’apertura dovevano essere starne ed il cane adoperato doveva garantire la certezza del reperimento con un accettabile stile di razza. Questo era il motivo per cui Fortunato non voleva che il cane perdesse tempo con altra selvaggina. Un po’ come il segugista che specializza il cane da seguita solo su un selvatico. E’ ovvio che all’epoca si poteva fare: difatti l’anziano amico mi narrò questo fatto proprio per farmi capire come fino a quegli anni le starne ci fossero e come addirittura fosse possibile, come faceva lui, impostare l’apertura esclusivamente su di esse. La mattinata, proseguì Fortunato, vide ben otto ferme di Bill, di cui una con le caratteristiche della prima e dunque senza soluzione finale, e le altre sette ben sedute o schiacciate, con la coda immobile, il naso al vento e gli occhi pallati, cioè le peculiarità che contraddistinguevano quel cane al cospetto dell’emanazione delle grigie. Avevano incontrato una brigatella, ossia proprio ciò che Fortunato voleva trovare, l’avevano sbrancata e ribattuta ed erano riusciti ad incarnierare cinque esemplari, di cui, rammentava il vecchio cacciatore, tre “starnine giovani giovani”.
Questo accadeva quasi cinquant’anni fa. La data d’apertura era variabile da regione a regione, ma mi sembra di ricordare che Fortunato mi parlasse, per la Toscana, della prima domenica di settembre. Cinque starne, di quelle genuine, al mattino d’apertura: tempi d’oro, si potrebbe dire con un sospirone. Tuttavia, forse l’oro di quegli anni è stato un po’ come quello dei Leprecauni: un oro a tempo, destinato invariabilmente a trasformarsi in materia vile. Un oro caduco, in definitiva un non-oro.
L’ISOLA CHE NON C’E’ : APERTURA D’UNA VOLTA ALLE STARNE
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