“Che percorso volete fare, papà?” chiede l’uomo scrutando la vallata sottostante.
“Scindimu finu a hiumara, undi ‘ncennu i primi pittari, poi vidimu..” (Scendiamo fino alla fiumara, dove ci sono i primi fichi d’India, poi vediamo..)
Boby e Lola iniziano a battere il terreno, aprendosi per poi ritornare nuovamente vicini ed annusando con buona alacrità il terreno. Una volta in quella zona c’erano molte più lepri, e non era necessario affannarsi più di tanto. Da una decina d’anni però, le cose erano cambiate. Una certa diffusione delle automobili all’inizio degli anni sessanta ha consentito anche a cacciatori provenienti dai paesi limitrofi di raggiungere quel luogo godendo della sua abbondanza di selvatici e le lepri erano state le prime a rendersi più sfuggenti. Il vecchio sa che all’apertura la lepre vuole il fresco e non può stare troppo lontano dall’acqua, sia quella corrente che quella contenuta nelle foglie delle erbe e delle piante più tenere. Si dirige verso il fondovalle, seguito dal nipotino e dal genero, tenendo sempre l’occhio sui cani per carpirne le variazioni d’atteggiamento. Boby dà una prima voce fra le pieghe di un calanco cinquanta metri più in basso. E’ un marcatore con un bel timbro ed un naso di primordine, anche se qualche volta tende a rimanere troppo ancorato su passate non troppo recenti. Lola è una buona scovatrice ma soprattutto si è rivelata una grande inseguitrice, capace di prodursi in seguite anche di due o tre ore. La cagnina dà credito al capocoppia ed insieme decidono che può essere una buona pista da seguire. Il bambino è totalmente rapito. Divora con lo sguardo i cani, anche se non è la prima volta che viene portato a caccia. Già a quattro anni passava ore a guardare il nonno caricare le cartucce e lo seguiva nel rigoverno dei cani, da penna e da pelo, con i quali, in quei torridi pomeriggi estivi, spesso si addormentava all’ombra della pergola che ne riparava i ricoveri. Il ritorno in città era sempre vissuto con dolore e lunghi abbracci ai suoi amici a quattro zampe, seguiti da promesse di pronto ritorno, come se i cani avessero potuto capirlo.
Si sentono alcuni spari echeggiare nelle vallettine circostanti. Scagnando, i due segugi scendono verso la fiumara a passo deciso. Il vecchio accelera l’andatura. Malgrado ciò, il suo occhio esperto è sempre mobile ed indagatore, e sul greto erboso del corso d’acqua nota un paio di fatte. Le prende in mano, sono rotonde, lucide e tendenti al marrone, segno che la lepre ha mangiato roba sostanziosa come pesche o pere. Le porta alle narici, le schiaccia e le riannusa nuovamente. Riflette, osservato dal nipote e dal genero, poi sentenzia che bisogna andare verso certi “giardini” che si vedono poco distanti, dove da una ventina d’anni hanno piantato degli alberi da frutto. E’ il giorno dell’apertura, quindi forse ci sono buone probabilità che la lepre, ancorché femmina come questa, abbia fatto il covo in vicinanza della buona pastura di cui si è servita durante la notte senza essere stata disturbata troppo. L’intuizione si rivela esatta. I cani, defilando la passata confermano che la lepre si è diretta proprio in quei giardini. Il nonno sceglie la posta dietro un calanco qualche metro sopra il frutteto e viene raggiunto dal nipote su ordine del padre, il quale invece avrebbe seguito i cani fino allo scovo. L’urlo di Lola azzittisce per un attimo il concerto canoro degli uccelli del frutteto. Parte la canizza a perdifiato lungo la fiumara. I segugi sanno il fatto loro e non dovrebbero tardare a riportare la lepre da dove è partita. Il vecchio avrebbe potuto tirare allo schizzo rimanendo sui cani, ma non si sarebbe divertito. La seguita è la seguita, ripete sempre.
APERTURA ALLA LEPRE: CENT’ANNI DI PASSIONE…
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