Il cancello di legno dipinto di rosso schiude in silenzio i suoi battenti al chiarore incerto dell’ultima ora della notte. Un muso fulvo e affilato si affaccia sulla strada, annusando l’aria. Lo segue una corda di cuoio a cui è attaccata la mano di un ragazzo. Un bisbiglìo, ed un uomo baffuto con un cappello a larga tesa chiude dietro di sé la piccola cancellata portando una doppietta in spalla. Il cane, il ragazzo e l’uomo s’incamminano per una salita polverosa d’argilla e profumata di essenze d’erba e di spezie. In capo a un ora, la sagoma dell’antica “mmendulara”, un poderoso mandorlo che domina la vallata fino al mare, si staglia contro il cielo aspettandoli immobile. Seduto sotto le sue branche e fumando una sigaretta fatta a mano, aspetta mastro Mico, che abita nella parte centrale del paese e che è salito al mandorlo per un viottolo impervio accompagnato da un’anziana cagnetta nera con il petto e il collo bianco. I due cacciatori si salutano ed altrettanto fanno i due cani, il rosso con le orecchie lunghe e la vecchia nerina pezzata.
“Iamu cchiù ppe ssutta, finu ai pittari prima d’a hiumara, mastro Pascali, ca acchistura ‘ncesti già me zziu Sarinu ca ‘ndi staci spettandu” ( andiamo più sotto, fino ai fichi d’India prima della fiumara, mastro Pasquale, che a quest’ora c’è già mio zio Sarino che ci sta aspettando). Zio Sarino aspetta già da un pezzo: non fidandosi di lasciare il carro con la cavalla attaccata in piena campagna aveva preferito venire a piedi dall’Amendolea, una località un poco fuori il paese, impiegando quasi due ore di cammino con il fucile in spalla ed i cani al guinzaglio. A settantacinque anni non è poco, ma per lui, che due anni prima ha cercato persino di farsi arruolare per combattere gli austriaci sul Carso, è come bere un caffè. Mastro Pasquale nota immediatamente qualcosa di diverso. Dalla spalla di zio Sarino pende un’elegante doppietta con i cani lavorati e le cartelle incise.
“Vi pigghiastivu puru vui u fucili novu, zziu Sarinu..Chiddu di vostru patri non era cchiù bbonu?”( Avete acquistato anche voi un fucile nuovo, zio Sarino. Quello di vostro padre non era più buono?) domandò mastro Pasquale ammirando la bella doppiettina calibro ventiquattro.
“Allura!…Chista m’a portau latr’anno me niputi d’a guerra. Ch’u voliva cchiù ddu cosu vecchiu?. Ma viu ca vui non restastivu arretu, mastru Pascali..” ( Come no!…questa me l’ha portata mio nipote dalla guerra l’anno scorso. Che me ne facevo più di quel coso vecchio? Vedo però che anche voi non siete rimasto indietro, mastro Pasquale..) risponde pronto zio Sarino ammirando l’eccellente fattura della Blanche del sedici con le scritte in oro che porta in spalla mastro Pasquale. Il “coso vecchio” era una doppietta in damasco, con le canne corrose ed i cani che dovevano essere aggiustati ogni due uscite. I “segugi”, invece, sono quelli che zio Sarino aveva anche prima della guerra. Uno è simile a Leo, il cane rosso che il ragazzo tiene al guinzaglio, ma con le orecchie più corte e con il pelo più lanoso. L’altra è una piccola cagnina bianca a toppe marroni, con l’occhio vispo, dotata di un’eccezionale abilità nello scovare la lepre e con l’unico difetto di essere muta in pastura.
APERTURA ALLA LEPRE: CENT’ANNI DI PASSIONE…
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