La voce innanzitutto deve essere tipica della razza. Non si tratta di una vacua necessità di cinotecnica teorica, ma una prescrizione che si fonda sul presupposto inoppugnabile di una stretta connessione fra elementi palesi, come voce, rapporti morfofunzionali e caratteri qualitativi, e costituzione genetica ed endocrina. In parole povere: un segugio che non possiede una voce tipica, prima o poi paleserà anche altre caratteristiche non accettabili per un esponente della razza in questione. Attenzione allora a voci dal timbro strano, raschiate o belluine, perchè possono essere armadi pieni più di scheletri che di abiti. Negare questo vuol dire mettere la testa nella sabbia e volersi accontentare di un segugio di serie B, retrocesso, se tutto va bene, allo stato di semplice, rudimentale cane da lepre.
La voce deve avere un tono variabile con la situazione. Immaginate di ascoltare un racconto da parte di un narratore che vi descrive tutte le situazioni con la stessa tonalità. Oltre ad essere scarsamente sopportabile, apre le porte alla noia e, in casi molto più frequenti di quel che non si crede, impedisce anche di far capire bene di cosa egli stia parlando poiché ogni avvenimento è descritto con lo stesso grado espressivo: un matrimonio lo racconta come un funerale, una battaglia la descrive come il tè delle cinque. E’ troppo ovvio per doverlo chiarire ulteriormente.
SEGUGIO: IL FINE DICITORE …
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