Lobo e I cani avevano iniziato a dare voce, segnale di una pista sicura, e questo aveva cancellato magicamente quel senso di futilità e di oppressione che si era progressivamente impadronito di uomini e bestie. Ora i cavalli dovevano stare al trotto o al passo sostenuto, per tener dietro ai segugi. Ma anche loro avevano riguadagnato smalto e nervi con la scossa che Lobo aveva dato al pericoloso torpore che li aveva avvolti e stavano dimostrando di che pasta erano fatti.
“Questi animali sono magnifici, Evans” urlò con entusiasmo misto ad angoscia Bransom mentre il suo cavallo volava su quella pietraia interminabile senza sbagliare un passo.
“Si tenga forte, signor Bransom. Ed anche lei signor Dobie, perchè voglio prenderlo prima di sera quel maledetto puma. Maledetto d’un maledetto!”. E via, dietro la coda della muta zompando di pietra in pietra, con l’abisso che da sinistra gli sorrideva ad ogni salto e ad ogni scivolata. La salita terminò bruscamente per trasformarsi in una discesa cento volte più pericolosa. I due giornalisti erano letteralmente paralizzati dal terrore, ma nessuno dei due osava dire qualcosa, mentre ad ogni passo di zoccolo rischiavano la vita.
“Dub, dobbiamo rallentare!” gridò disperato Joe ad un certo punto “O finiremo per ammazzarci in fondo alla scarpata!”. Senza neanche rispondere, Dub Evans sollevò la mano comandando la fermata. Si era reso conto all’istante che suo fratello aveva ragione. Le nove giornate a vuoto ed il sospirato reperimento del segnale avevano logorato anche corde d’acciaio come i suoi nervi, accorgendosene solo ora che aveva guidato, e per fortuna fermato, la pazzesca trottata discendente. Dobie e Bransom erano entrambi giovani ed ottimi cavalieri, ma i visi sbiancati e la fissità dei loro occhi tradivano di aver sopportato un’esperienza di quelle che non avrebbero mai più dimenticato. Andarono avanti così per l’intera giornata, finchè, quando ormai il tramonto invernale colorava di rosso ogni angolo della terra visibile, Dub diede il segnale di sosta e smontarono da cavallo stremati. Joe richiamò i cani con un corno di bue ma nessuno di loro si fece vedere. Al terzo richiamo, un urlo risuonò in fondo alla mulattiera, che ora, vivaddio, sembrava più prossima a terminare. I cani avevano trovato qualcosa.
“In marcia!” ordinò Dub perentorio.
“Ancora?” protestò Frank Dobie “Cosa crede che abbiano trovato, signor Evans?” continuò a domandare il giornalista madido di sudore, con le guance ed il naso rossi dal freddo che spiccavano sul colorito reso terreo dalla forte emozione.
“Forse non il puma, quello ancora no, ma sicuramente qualche altra traccia della sua presenza. Coraggio, raggiungiamo i cani!”. Lo scalpiccìo degli zoccoli già duramente provati fece da unico sfondo sonoro alla canizza lontana ma ferma. Ogni tanto qualcuno dei muli incespicava facendo sdrucciolare pietre e massi nel baratro a neanche tre metri di distanza. Gli uomini ed i cavalli erano fusi in una sola entità e scendevano con ritmo cadenzato, fino a quando la pericolosa pendenza diede finalmente segno di voler terminare.
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