Le qualità delle carni, uso e consumo consapevole, preparazioni gastronomiche
La dottoressa Daniela Giustini, Biologa e Tecnica Faunistica, ha affrontato la questione relativa alla qualità delle carni di selvaggina, che per giungere sulle nostre tavole, non solo gradevoli al palato ma soprattutto sicure per l’alimentazione del nostro organismo, devono seguire un preciso iter che parte fin da momento dell’abbattimento del’animale a cui appartenevano. “Spesso si pensa che su questo argomento si sia detto tutto che le tradizioni tramandate di generazione in generazione siano le sicure custodi di metodi sperimentati nei tempi. Non è così” ha esordito la dottoressa Giustini. “Considerando una giornata di caccia tipo non possiamo che constatare che, e non potrebbe essere altrimenti, il momento nel quale la carne del capo abbattuto arriva nel congelatore è dopo molte ore il suo abbattimento. Proprio per questo sono fondamentali alcuni passaggi che ci permettano di conservare la carne nel migliore dei modi proprio fino a quel momento”. “Cominciamo con il dire – ha proseguito la Giustini – che l’ideale, anche se chiaramente non è sempre possibile, sarebbe che l’abbattimento avvenisse nelle ore più fresche della mattinata ed evitando le ferite all’addome dell’animale in quanto portano alla contaminazione della carne. Una volta abbattuto il selvatico è fondamentale eviscerarne la carcassa il prima possibile, evitando di abbandonare le interiora nel bosco. Più ritardiamo questa fondamentale operazione più la carne alla fine risulterà dura e dal sapore forte. Non solo, una manipolazione sbagliata dopo l’abbattimento anch’essa porterà a qualità inferiore delle carni. E’ bene ricordare che il proiettile-palla una volta penetrata nell’animale dà il via ad una modificazione organica. Il trattamento del capo abbattuto deve portare alla frollatura della carcassa evitando l’insorgere dei processi putrefattivi. Questi hanno luogo più facilmente se la temperatura esterna e il ph dell’animale si attestano su valori elevati. Il ph dell’animale sale se la bestia è stata abbattuta in una condizione di stress, lunghi inseguimenti in cui il cinghiale viene braccato dalle mute dei segugi, ad esempio. La frollatura si ottiene con una refrigerazione sui 4°c. Quindi è bene tenere a mente che la frollatura deve avvenire prima del congelamento della carne. Durante le operazioni di eviscerazione e di macellazione della carcassa è fondamentale usare guanti monouso e coltelli sanificati. Differenziandoli nelle due operazioni proprio per evitare le contaminazioni. Anche il controllo cutaneo dell’animale è fondamentale verificando che lo stesso non sia portatore di zecche” .“Bisogna evitare di bagnare la carcassa – ha aggiunto la dottoressa Giuntini – perché anche se è una tradizione dura a morire è opportuno ricordare che l’acqua può veicolare microbi. E’ molto più consigliabile pulirla e asciugarla con carta usa e getta o panni puliti. Il successivo trasporto del capo abbattuto o della carne già macellata deve seguire norma igieniche altrettanto scrupolose in modo da evitare la contaminazione. Successivamente per prepararla alla cottura si passerà alla marinatura della carne che servirà sia ad ammorbidirla sia a toglierle l’intenso sapore di selvatico. Una buona marinatura deve necessariamente passare per tre fasi distinte: immersione in acqua e sale; immersione in soluzione costituita da metà aceto e metà vino, abbondante risciacquo e marinatura finale con vino e odori. La cottura finale sarà oltre alle modalità fin qui elencate la garanzia finale non solo di avere della carne di buon sapore e di facile masticabilità ma anche e soprattutto di aver evitato qualsiasi trasmissione di agenti patogeni”. In conclusione infatti, la dottoressa Bandini, riallacciandosi a quanto già detto dalla dottoressa Romeo ha evidenziato senza volere fare dell’allarmismo la necessità di tenere alta la guardia nei confronti della Trichinellosi ancora presente nel nostro paese; malattia zoonica ossia che si può trasmette all’uomo. Si contrae mangiando carni crude o non ben cotte o salsicce, di maiale e cinghiale ricavate da animali infetti. La Trichinella spiralis è un parassita che una volta raggiunto l’organismo umano si incista. Non esistono farmaci specifici per la sua cura quindi a seconda di dove colpisce l’organismo umano può creare danni anche seri alle funzionalità vitali. La prevenzione rimane quindi l’antidoto più sicuro contro la Trichinellosi. Il controllo da parte delle squadre di cinghialai che operano sul terreno delle carni macellate con l’invio di campioni ai laboratori preposti e soprattutto la loro cottura sono sufficienti per scongiurare ogni pericolo. “La situazione al momento vede purtroppo ancora poche squadre attrezzate per una corretta gestione delle spoglie dei capi abbattuti. In tal senso è auspicabile – ha concluso la dottoressa Bandini – che i corsi formativi previsti in Toscana dalle Province di concerto con le ASL per i capisquadra e per i cacciatori per la commercializzazione delle carni di selvaggina abbattuta a cura del Centro Didattica Ambientale Faunistica (Cedaf) prendano il via il prima possibile”.
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