Le finalità del focus
Tra le principali motivazioni che hanno spinto Franco Polidori, Presidente ARGA Toscana, coadiuvato per l’occasione da Marco Ramanzini, socio Arga, capo ufficio stampa e direttore della rivista ufficiale della Federazione Italiana della Caccia, all’organizzazione di un convegno che spaziasse su una vasta gamma di tematiche, relative al rapporto fra questo selvatico e l’uomo, vi è stata essenzialmente quella di inquadrare da più punti di vista il cinghiale, ungulato con cui oggi cacciatori o non cacciatori, noi tutti volenti o non volenti bisogna fare i conti data la sua sempre più invasiva presenza sul territorio. L’iniziativa è stata pensata, inizialmente, soprattutto per fornire un quadro più preciso anche se forzatamente sempre generale ai giornalisti della stampa non specializzata che sempre più spesso si trovano a parlare del suide, ma anche di altri ungulati e ultimamente del lupo negli articoli di cronaca. “Auto investe alce” (naturalmente trattavasi di daino) “Branco di lupi sbrana un capriolo” (e cosa dovrebbe fare un lupo ci domandiamo NdR); “Grosseto, lupo rincorre lo scuolabus. Ragazzino lo fotografa” (salvo poi scoprire, su segnalazione al giornale del proprietario che ha riconosciuto l’animale, che si trattava di un cane lupo cecoslovacco che correva nei campi circostanti); Predatori in paese, una famiglia di canidi in piazza a Saturnia” (nella realtà erano cani domestici che si trovavano a pochi metri dalla casa del loro padrone). Titoli come i precedenti, accompagnati anche da fotografie non pertinenti, sono il segnale quando si parla del mondo animale, di un giornalismo d’allarme caratterizzato da poca professionalità nella verifica delle notizie se non addirittura da scarsa conoscenza dell’argomento, cosa ancor più grave qualora si pensi alla delicatezza delle tematiche legate ai rapporti fra uomo e selvatici, sempre più luogo di discussioni e confronti anche molto accesi.
Biologia del cinghiale, comportamento, impatto sull’agricoltura e le attività umane
Dopo i saluti ai convenuti da parte prima di Franco Polidori, coordinatore del dibattito, e poi del sindaco di Suvereto, Giuliano Parodi, che ha fatto gli onori di casa ricordando agli astanti le radicate tradizioni venatorie della comunità suveratana e di conseguenza l’importanza delle carni di cinghiale nelle tradizioni gastronomiche del posto che trovano massima espressione proprio nella sagra che da ormai 47 anni prende vita per le vie del borgo vecchio, il convegno è entrato nel vivo con la dottoressa Giorgia Romeo. Zoologa, responsabile tecnico scientifica dell’Ufficio fauna stanziale di FIdC. La dottoressa ha descritto la biologia del cinghiale, il suo comportamento, e l’impatto che ha sulle coltivazioni agricole. “L’allarme che i numeri relativi al cinghiale ci danno – ha denunciato la Romeo – “non può e non deve essere sottovalutato, su questo sono concordi i tecnici che hanno a che fare con la fauna selvatica. Il cinghiale dopo il ratto nero (o ratto comune) è il mammifero con la distribuzione mondiale più ampia. E una delle specie più invasive conosciute al mondo. In Italia la distribuzione minima di questo ungulato si è avuta dopo la Seconda Guerra Mondiale. Secondo i dati forniti dall’ultima pubblicazione in materia risalente al 2009 la distribuzione all’epoca toccava il 64% del territorio nazionale. Si stimavano a quella data 600.000 cinghiali, che per oggi però risulterebbe una sottostima se pensiamo che solo nella provincia di Grosseto si contano qualcosa come 25.000 cinghiali catturati dalle squadre ogni anno”.
La Sus scrofa majori è la sottospecie di cinghiale presente nell’Italia centrale e in particolare in Toscana, dove come dichiarato da una associazione agricola qualche tempo fa “ci sono più cinghiali che chianine e maiali”. I fattori di tale incremento demografico, come evidenziato sempre dalla dottoressa Romeo nel corso del suo intervento, risiedono essenzialmente nella estrema prolificità della specie (che ha un incremento del 200%); nell’estendersi progressivamente sul territorio di aree disabitate; nella scomparsa dei predatori antagonisti; nella straordinaria capacità di adattamento a climi e luoghi diversi e solo in parte nelle immissioni e nel foraggiamento compiuti in passato da parte degli ambienti venatori quando non si conosceva ancora benne la sua capacità riproduttiva. La prima attestazione di tale sottospecie è negli anni venti del ‘900. Il maschio grazie all’ibridazione voluta dall’uomo raggiunge di media i 70-100kg. Tutto questo rapportato sul piano dei danni che a livello nazionale sono causati dagli animali selvatici ci porta a capire come mai il 90% di essi siano da attribuire proprio ai verri. Solo in Toscana si parla di 10.000 milioni di euro di danni. “Con una popolazione di cinghiali che si attesta su numeri così alti non si può convivere, i dati sono chiari. I danni principali per la flora sono diretti agli alberi, la rottura delle cortecce con lo strofinamento del muso, all’ecosistema del sottobosco, alle coltivazioni di mais, agli uliveti etc….” questa la conclusione della Dottoressa. L’aspetto poi ancora più preoccupante è quello legato all’impatto con la società umana (NdR). Questi suidi sempre più spavaldi si avvicinano in cerca di cibo facile (rifiuti abbandonati vicino ai cassonetti o per strada) alle periferie non solo dei piccoli paesi ma anche di grandi città, un caso eclatante Genova con i suoi quartieri pi a ridosso delle zone collinari boscose. Insomma non bisogna essere un cacciatore per farne la conoscenza. E questo significa che gli incidenti che interessano oggi giorno sempre più le nostre comunità e che dipendono dalla folta presenza di cinghiali non sono solo legati all’attività venatoria (il cacciatore travolto dal verro) ma purtroppo coinvolgono ignari automobilisti, ciclisti e motociclisti che viaggiano regolarmente su strade urbane periferiche o extraurbane.