L’appetito vien mangiando! Un tempo all’Isola di Montecristo non si poteva accedere se non per scopi scientifici. Riserva Integrale nel vero senso della parola. Poi l’hanno inserita nel Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano, e le cose sono ovviamente cambiate in un paese come il nostro dove i Parchi sono visti solo e soprattutto come aree di ricreazione, fautori di turismo, posti di lavoro e … poltrone! Anche quest’anno è uscito il bando per le visite all’isola (da prenotarsi tramite Internet al costo di 140/180 euro a persona). Nulla di strano, visto che in fondo un pur minimo accesso turistico lo si debba e possa comunque consentire. Solo che… Solo che, il numero dei visitatori è stato aumentato a 1.725, seppure diviso in giornate tra marzo e settembre. Ma siamo certi che questo numero sia equilibrato? Sulla base di che? Anzi, quest’anno hanno anche previsto una salita fin sulla vetta della montagna, cosa mai consentita prima (e per farlo ci hanno realizzato un sentiero di accesso!). Di questo passo, siamo certi che col passare degli anni le “aperture” non aumenteranno ancora? Negli USA, nel Parco Nazionale ed Area Wilderness di Denali (Alaska) la salita alla vetta del Mount Mc Kinley è consentita solo a 1.500 alpinisti all’anno. C’è da riflettere. In fondo una visita all’Isola di Montecristo non ce l’ha ordinata il medico… Non per nulla, per anni (secoli, e millenni!) l’isola non è mai stata utilizzata come attrattrice di turismo. Non è una necessità. Necessità è invece preservarla per sempre e preservarne la sua solitudine (si noti bene, le gite prevedono un massimo di 75 persone cadauna – 12 per chi vuole salire in vetta), e meno gente ci mette piede meglio la si preserva. Vero che è un diritto di tutti, ma c’ un ma anche in questo! Dal momento che si pone un ticket che non tutti si possono permettere, ecco che forse il diritto alla visita risulta meno democratico di quanto si voglia far credere. L’organizzazione giusta dovrebbe essere un numero chiuso molto ridotto (specie nel numero dei partecipanti ad ogni escursione) e con diritto di accesso senza pagamento di ticket e col solo metodo altamente democratico del primo arrivato (prenotato) prima servito. Un Parco Nazionale si può ben permettere di accollarsi le spese di trasporto via mare! Altrimenti quelle 1.725 persone finiscono per essere solo dei benestanti e dei privilegiati… in nome del turismo!
2. Se ci voleva la prova, si potrebbe dire. Ci riferiamo all’ormai annosa questione della conservazione della Riserva Naturale Regionale dell’Adelasia, una Riserva svenduta alla filiera del legname e al cicloturismo, per non dire al turismo gastronomico (riferito a quello che fu il Centro Ecologico e Rifugio Cascina Miera, trasformatosi in un finto agriturismo con solo una mera finalità gastronomica!). Lo scorso 28 gennaio presso il tribunale di Savona è iniziata la causa che vede imputati il Sindaco di Cairo Montenotte, il cognato e altri funzionari comunali, per l’avvenuta sistemazione/realizzazione di una strada rurale che penetra nel cuore della Riserva, pur restandone ad essa esterna. Il reato commesso, sarebbe la distrazione di soldi pubblici (243.000 mila euro) ottenuti dall’Unione Europea utilizzati anche per la sistemazione di un tratto di strada privata. Soldi conferiti al Comune e motivati per opera “rurale”, che la Regione Liguria avrebbe richiesto indietro dopo la notizia del rinvio a giudizio (la stessa minoranza consigliare si è costituta parte civile nel processo). Ecco cosa, secondo la stampa, avrebbe dichiarato il Sindaco alla stessa, che ci dà la misura di cosa il Comune di Cairo Montenotte abbia sempre inteso per “Riserva Naturale”: “Tutto è stato fatto alla luce del sole, con l’obiettivo di sistemare una strada che era disastrata e ora è a posto. Era ed è pubblica, aperta a tutti ed è usata da escursionisti, da chi accede la bosco per lavorare e tagliare la legna. Sono tranquillo”. Si lasci pure perdere il fatto che il tratto di strada in contestazione è quello finale, che porta alla casa del genero del Sindaco, visto che non è di pertinenza dell’AIW, e che modesti appezzamenti di terreni sono rimasti in privata proprietà dopo l’avvenuta cessione alla Provincia di Savona di gran parte dei boschi un tempo appartenuti alla Società 3M Italia che li aveva dichiarati “Riserva Naturalistica” integralmente preservandoli per quasi trent’anni… fino al passaggio alla pubblica proprietà. Cosa che anziché perpetuare la garanzia di salvaguardia, ha scatenato gli interessi di chi vede i boschi soprattutto come risorsa economica. Giova però ora notare come il Sindaco Lambertini consideri questa Riserva Naturale piuttosto come una “riserva di legname”, visto che il miglioramento della strada aveva proprio lo scopo di favorire il trasporto del legname. Si noti bene, legname che sarebbe stato pur ben trasportabile anche con lo stato precedente della strada, visto che parlando di boschi si tratta di trattori e camion e non certo di autovetture. E anche perché la stragrande maggioranza dei boschi serviti da questa strada sono di pubblica proprietà gestiti dallo stesso Comune di Cairo Montenotte. Ma non solo, che lo stesso Comune di Cairo in data 12 aprile 2024, ovvero ben dopo l’inizio dell’inchiesta che lo ha portato sul banco degli imputati, ha deliberato operazioni boschive su ben circa 80 ettari della Riserva, dai quali gli alberi prelevati saranno trasportati a valle e al mercato della filiera del legname proprio mediante questa strada. Questo in una Riserva Naturale Regionale di, si ribadisce, PUBBLICA PROPRIETÀ! Non resta che dire, Viva l’Italia! E Viva il Green Deal europeo!
3. L’inganno della “compensazioni per le emissioni di carbonio”. Lo ha stabilito una recente sentenza dell’Alta Corte del Tribunale Ambiente e Territorio di Isiolo (Kenya) ai danni di due Riserve gestite da una Norther Rangelands Trust (ma in realtà le Riserve coinvolte nella stessa storia sarebbero ben 45), che il tribunale ha stabilito essere incostituzionali e senza alcuna base giuridica le quali godevano dei cosiddetti “crediti di carbonio” che “vendevano come compensazioni di carbonio alle aziende occidentali”. Lo ha comunicato Survival International, l’organismo internazionale che difende i popoli tribali, in questo caso i Samburo nel nord del Kenya. La tesi delle suddette Riserve è che “controllando le attività del bestiame dei pastori indigeni, si aumenterebbe la vegetazione fella zona, e quindi la quantità di carbonio immagazzinato al suolo”. “La sentenza conferma inoltre ciò che le comunità denunciano da anni: che non sono state adeguatamente consultate sulla creazione delle riserve, che hanno minato i loro diritti territoriali”. Tutti fatti che Survival International ha da tempo denunciati in un suo “Rapporto carbonio insanguinato: un programma di compensazione di carbonio che ricava milioni dalla terra indigena nel nord del Kenya”.
Franco Zunino, AIW