Addentrarsi nella pittura inglese dell’ottocento avendo in mente le rappresentazioni venatorie e cinofile, è come per un bambino varcare i cancelli di Disneyland. Qui non bisogna sforzarsi a scovare l’autore dedicato oppure a piluccare qua e là sperando d’incocciare la tela ispirata o l’acquarello del cacciatore dalle cui spalle pende timido un fucile. In Gran Bretagna, la maggior parte degli artisti ha prodotto pitture in cui la caccia, i cani o i cavalli costituiscono l’elemento centrale e dominante della scena. Le cacce alla volpe, i levrieri in corsa dietro una lepre, i gentlemen con i pointer immobili sulle grouse di Scozia sono parte integrante e cospicua di quello straordinario e per molti aspetti inarrivabile patrimonio d’arte e di cultura.
I nomi sono l’Olimpo dell’arte europea. Uomini come sir Edwin Landseer, George Earl, John Herring, Archibald Thorburn, David e Joshua Dalby, solo per citarne alcuni, hanno gratificato la nobile arte della caccia con il loro talento senza tempo e con la profonda compenetrazione in un mondo che sembrava non dovesse aver mai fine, trasponendo, attraverso un pennello, il cuore e l’anima sulla tela. Tuttavia, l’ottocento artistico inglese si apre sotto l’ombra prepotente di William Turner, genio dell’arte che con il suo modo di raccontare le immagini secondo un criterio “luministico”, ovvero con il tramite della luce atmosferica, ha senza dubbio influenzato tutta la pittura europea dell’inizio del secolo, sia quella neoclassica, sia, in misura maggiore, le tormentate ansie neoromantiche. Questo è un dato che dobbiamo sempre tenere presente quando ci accostiamo alla pittura britannica, soprattutto quella della prima parte del secolo che questa volta proveremo ad incontrare, perchè solo riferendoci al grande maestro londinese potremo capire certi giochi di luce anche in rappresentazioni formalmente ben compiute, oppure la scelta di tinte liriche, scure o chiare, per dipingere soggetti che non ne avrebbero avuto particolare bisogno.
Il “country sense”, è sempre stato fortemente connaturato con la cultura anglosassone. Il rapporto fra l’uomo e la natura, mediato da esseri amici come il cane o il cavallo, è una porzione basilare ed irrinunciabile dell’animo britannico.
Una delle “sceneggiature” artistiche inglesi più universalmente conosciute, è senza alcun dubbio la caccia alla volpe. Qui la commistione fra l’uomo, il cane ed il cavallo è assoluta, perfetta al punto costituire una branca a sé stante, un universo parallelo, una specialità ben precisa dal punto di vista soggettistico. Molti grandissimi artisti inglesi dell’ottocento, come Michael Lynch o Henry Alken hanno creato il novanta per cento della loro produzione dipingendo solo cacce alla volpe, ed insieme a queste tutto il mondo che ruotava attorno al prestigioso “fox-hunting”.
L’Ottocento inglese, sotto il profilo delle tematiche che ci interessano, è un universo talmente grande che saranno necessarie almeno tre puntate per poter avere un’idea, comunque sempre superficiale, di quel che è stata la relativa produzione artistica riguardo all’universo di Artemide. Le cose più belle però le vedremo più in là, nei prossimi due appuntamenti, quando l’evoluzione tecnica avrà raggiunto un apice mai più superato.
In ossequio alla caccia nazionale inglese la figura 1 è proprio una splendida pittura di David Dalby. E’ un grande quadro di oltre due metri di lunghezza, in cui il gioco di luce è rappresentato dal bianco delle figure dei cani al centro della scena illuminato da un raggio di pallido sole d’Albione, che fa da contrasto con la fascia più scura in cui l’artista ha posto i cacciatori a cavallo, in attesa di partire dietro la muta. La tessitura sericea ed i muscoli degli animali in evidenza perfetta, la teoria di nubi grigie e verdi ed il paesaggio spoglio denotano l’anima romantica di Dalby, mentre l’uso del cappello a cilindro da parte di alcuni cacciatori testimonia la datazione dell’opera che risale al 1825. Anche la struttura robusta dei foxhound, appartenenti alle vecchie linee di sangue, e la presenza di un terrier a gamba lunga, evidente in primo piano, parlano chiaro sul fatto che ancora erano presenti alcuni retaggi del secolo precedente e che sarebbero scomparsi gradualmente durante lo scorrere della prima metà dell’ottocento.
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