” La mia passione per la caccia nasce già da adolescente quando il mio babbo, le rare volte che il lavoro glielo permetteva, la domenica mi portava a caccia con lui.
Ricordo l’emozione di fanciulla quando il sabato sera mi diceva di andare a letto presto perché l’indomani mattina mi avrebbe portato a vedere una battuta di caccia al cinghiale. La notte era insonne. Passavo il tempo a contare i minuti che sembravano scorrere sempre più lenti e poi, quando intravedevo dalle persiane le prime luci dell’alba sapevo che sarebbe venuto nella mia camera a chiamarmi. E ricordo quando ci si riuniva davanti a un fuoco improvvisato e l’odore della moka riempiva l’aria intorno a noi. Il freddo mi gelava le mani, ma rimanevo in silenzio in mezzo ai cacciatori e li sentivo parlare di fucili,di cani,di cinghiali, e quindi raccontare aneddoti passati.
Quelle ore prima che si partisse per la battuta le passavo vicino ai carrelli dei cani controllandoli, coccolandoli ed aiutando il canaio a mettere il collare con la campana. Il vecchio canaio mi permetteva di aiutarlo, e mi diceva sempre di fare attenzione e memorizzare il suono della campana di ciascuno, perché questo mi avrebbe permesso si riconoscere ad orecchio il cane che stava abbaiando. Ogni campano infatti, aveva un suono diverso.
Per me la caccia era questo: l’attesa della sciolta dei cani! Questa passione per il lavoro del cane mi è rimasta dentro al punto tale che tutt’ora ciò che per me valorizza una battuta di caccia al cinghiale è soprattutto il lavoro che i nostri ausiliari riescono a compiere, e poi tenere il fiato sospeso fino a che il re del bosco non viene scovato.”
Chi parla è Federica Falcioni. Marchigiana, apprezzatissima consulente tecnica per molte Amministrazioni comunali del nostro Paese, figlia e compagna di cacciatori, e cacciatrice lei stessa. Una novella Artemide che ama scorrere i boschi con i suoi cani alla ricerca di emozioni ancestrali, mai sopite e sempre agognate e vissute con l’intensità che solo la battuta al cinghiale può dare. Come in quelle tele seicentesche di Jan Fyt, in cui la dea con l’arco si riposa e cura i suoi veltri dopo una caccia rutilante e fortunata, Federica è tutt’uno con i suoi cani. Palpita con loro, e con loro gioisce di ogni scagno e ogni inseguimento, e soffre ogni morso che la bestia può infliggere ai suoi amati compagni d’avventura. Di ognuno di questi conosce vita e miracoli, per ognuno sa trovare un aneddoto, a tutti sa donare cure e affetto come raramente è dato vedere.
NOVELLA ARTEMIDE Intervista a Federica Falcioni
CopertinaCondividi: