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Intervista a Emanuele Bennati, presidente Arcicaccia Umbria: come sta la caccia in Italia?

Dal Territorio
10 Novembre 2016 di Redazione Caccia Oggi
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Come sta e di cosa ha bisogno la caccia in Italia?

Abbiamo rivolto alcune domande ad Emanuele Bennati, Presidente Regionalebennati Umbro di Arcicaccia, sentiamo cosa ci ha risposto:
Diciamo che la caccia ormai da diversi anni sta vivendo un forte declino, sono sempre di più i cacciatori che abbandonano l’attività venatoria e pochissimi i nuovi appassionati.
I giovani che si avvicinano all’attività venatoria crescono in contesti rurali dove vivere la natura, la campagna e i suoi valori, comprende anche la caccia però, sempre meno sono coloro che cercano la licenza di caccia. La caccia ha bisogno di uscire dall’isolamento, dobbiamo tornare a parlare alla società moderna. L’enorme distanza tra la cultura cittadina e quella rurale va accorciata e presto, altrimenti la frattura diventerà irreversibile.
I cacciatori sono portatori di storia, cultura, cose che in apparenza sembrano in contrasto con il “web”.
Il mondo venatorio deve far conoscere la sua utilità attraverso il reale presidio delle campagne, in primo luogo come protagonista del riequilibrio delle specie invasive e opportuniste.
Lo sforzo di questi ultimi anni per costruire il Tavolo Ambientale, la Fondazione UNA vanno nella direzione di far conoscere che cosa è e dovrà sempre di più essere l’ars venandi.
Serve un modello nuovo, una caccia sostenibile e in grado di creare economia, PIL del paesaggio agricolo di cui siamo parte anche per la produzione di quantità, qualità delle carni di selvaggina dalle caratteristiche organolettiche straordinarie. Sarà green economy la cinofilia turistica se tanti allevatore e “allenatori”, ancorché dilettanti, che decidono di varcare i confini italiani per addestrare i propri ausiliari, avranno palestre adeguate nel nostro bel Paese.
L’isolamento del mondo venatorio, grazie anche a tanto autocompiacimento, ha fatto si che questa passione non sia più di interesse per i giovani. Ormai nemmeno i figli di cacciatori si avvicinano alla caccia; è finita la contaminazione generazionale.
Il compianto Carlo Azeglio Ciampi, nel suo ultimo discorso da Presidente della Repubblica, parlando ai giovani disse che era importante vivere in armonia con i ritmi della natura e di provare qualche volta ad alzarsi all’alba per vivere il miracolo quotidiano del risveglio della natura, un messaggio profondo e, chi ama la caccia, ne è interprete di rango.

Come sta la caccia?
Diciamo che in Umbria ancora il popolo dei cacciatori è abbastanza numeroso anche se la tendenza al declino c’è tutta.
Dal punto di vista gestionale non stiamo messi benissimo in quanto anche qui occorre un cambio di rotta, la vecchia politica venatoria deve lasciare il passo al nuovo percorso e un nuovo modo di gestire ambiente, fauna, prelievo venatorio, contenimento di specie che arrecano danni alle imprese agricole.
Quando parla di utilità della caccia a che cosa si riferisce?
Dobbiamo fare un’attenta riflessione. La caccia è una attività che si svolge secondo norme molto rigide, che trovano origine nella legge 157/92. Mettendo a disposizione la profonda conoscenza del territorio, gli “ecologisti con la licenza”, i cacciatori diventano utili e contribuiscono alla gestione dell’ambiente, perché sempre più spesso sono chiamati a svolgere il ruolo di regolatore di quelle specie fuori controllo, come i cinghiali, storni, i piccioni le nutrie ecc.. Troppe specie che, per vari motivi, sono aumentate a dismisura entrando in contrasto con le attività umane non solo in campagna ma anche nelle grandi città. Possiamo avere un ruolo importante, nel presidio delle campagne, nella lotta al bracconaggio, come supporto alla Protezione Civile, nella ricerca di persone scomparse, mettendo a disposizione una profonda conoscenza del territorio, possiamo fare anche altro.
Guardi, io vengo da una esperienza fatta dalle Associazioni Venatorie di Castiglione del lago e da altre Associazioni locali, dove ci eravamo organizzati per controllare i boschi dall’abbandono dei rifiuti, conoscendo come pochi i luoghi più sperduti del Comune. Abbiamo individuato e raccolto per alcuni anni quintali di rifiuti urbani abbandonati. I cittadini e l’Amministrazione Comunale hanno concretamente sperimentato la nostra utilità al servizio della comunità. Purtroppo non lo facciamo più.

In Umbria di cosa a bisogno la caccia?

Dopo la riforma delle Province e il conseguente ritorno delle competenze in Regione c’è la necessita non più rinviabile di avviare il percorso di riforma, le priorità sono tutte importanti: rivedere la legge regionale e i regolamenti, definire compiti e ruoli degli A.T.C. – e che siano gli stessi per tutti – e, soprattutto, definire la loro natura giuridica, in quanto l’ambiguità, tra natura privata e pubblica ha generato non pochi problemi sull’uso delle risorse, sulle assunzioni: sono note le vicende dell’ATC Terni 3 e di altri ATC d’Italia.
La revisione dei regolamenti deve mirare ha creare certezze nelle regole, non uno strumento di consenso come troppe volte è stato.
Abbiamo la necessità di rivedere il regolamento di caccia al cinghiale, già modificato lo scorso anno, poi in parte rinviato. C’è la necessità di misure gestionali per i danni all’agricoltura, nonché di un piano di produzione naturale e prelievo per la fauna stanziale.
Per sintetizzare, la sfida è individuare modelli di gestione che siano in grado non solo di soddisfare il prelievo ma che garantiscano biodiversità.
Indubbiamente, in questo momento servirebbe, unità di intenti delle Associazioni Venatorie su argomenti che determinanti in Umbria.
Avremmo bisogno, anche in Umbria, della Federazione Regionale delle Associazioni Venatorie, nata a livello nazionale. Si mettano “in federazione”, soggetti che condividono finalità obbiettivi, chiaramente aperti al dialogo anche con quelle Associazioni che in questo momento hanno deciso di non fare parte della Federazione Nazionale.

Quale deve essere il ruolo degli ATC?

Gli A.T.C. cosi come individuati dalla Legge 157/1992, sono titolari della responsabilità gestionale della fauna selvatica nei territori a caccia programmata. Il momento di transizione istituzionale è irripetibile, in primis occorre definire la natura giuridica degli Ambiti e definire procedure e compiti.
L’A.T.C. deve essere l’Ente dove si individuano interventi per la gestione del territorio. In Umbria è assai complesso individuare un’estensione territoriale ottimale per ambienti molto diversi tra di loro, perciò e necessario studiare il territorio, individuare le vocazioni faunistiche dei vari habitat, i modelli di gestione puntuali e tentare il massimo della omogeneità gestionale con regole uguali per tutti anche per superare qualsivoglia tentazione.
Questa è l’occasione per fare degli l’A.T.C. il punto di riferimento dei cacciatori e non centri di “potere”.
Che ne pensa dell’operato della Regione?
Diciamo che la Regione Umbria mostra una certa sensibilità nei confronti del mondo venatorio, ma molte, troppe restano le problematiche non risolte. L’immobilismo di quest’ultimo anno dopo la riforma delle Province, ha lasciato un vuoto preoccupante: ad esempio la vigilanza venatoria. Tema emblematico: la legge attribuisce genericamente agli organi di polizia la vigilanza venatoria che è stato sempre un compito assolto dalle Polizie Provinciali.
Si vuole fare la lotta al bracconaggio? Con chi e come?
Altro tema che ha visto l’ARCI Caccia già molto critica prima dell’approvazione, è il regolamento della caccia al cinghiale. Le problematiche che avevamo sollevato lo scorso anno – prima dell’applicazione – si sono, da subito, rivelate talmente valide da portare la Regione alla decisione di rinviare parte del regolamento al prossimo anno, per noi altro grave errore. Su certe scelte avremmo preferito chiarezza e convincimenti.
Per quanto riguarda il calendario venatorio, la Regione ha accolto le richieste delle Associazioni Venatorie, scegliendo la linea della fermezza nel mantenere la chiusura alle specie tordo bottaccio, cesena e beccaccia al 30 gennaio, in virtù del ricorso presentato dalle Associazioni Venatorie Nazionli al TAR del Lazio nel 2015, che ancora non ha avuto esito. Come Arci Caccia abbiamo chiesto all’Assessore i dati scientifici in possesso dell’Osservatorio Faunistico per essere in grado di difendere tale scelta, preoccupati che a gennaio dovremmo tornare dai cacciatori a dire che la caccia alle tre specie chiuderà il 20 Gennaio. Altro che certezza di diritto!
Questo è un tema fondamentale che deve trovare una soluzione nei tavoli ministeriali, d’intesa con le Regioni e la Commissione Europea. Non possiamo proseguire la battaglia dei tribunali per definire i periodi di prelievo venatorio in perenne conflitto sull’interpretazione delle Direttive Europee. Basta con lo “scarica barile”!.
Crediamo necessario che il Goveno e i Ministeri Agricoltura, Ambiente e la Conferenza delle Regioni convochino al tavolo i portatori d’interesse, e quando dico portatori d’interesse intendo tutti, per avere protocolli univoci nella raccolta dei dati necessari per modificare i Key concepts.
Poi c’è il tema degli Osservatori Faunistici. Regione che vai… Osservatorio che trovi. E’ ridicolo! Si è aperta la stagione di confronto con il governo regionale, che auspichiamo non sia eterna. In agenda ci sono le Aziende private (a fine anno scadrà la proroga sulle concessioni) e, l’Arci Caccia, vuole capire e far sapere quante hanno i requisiti per essere rinnovate e quante, delle nuove richieste, possono essere accolte Comune per Comune e qual’è la superficie occupata dagli ambiti privati. Quanto sarà il territorio a caccia programmata che si vorrà tutelare perché in molti Comuni è al minimo.
Ci convocherà la Regione per discutere?

Perché la sua Associazione difende la legge 157/92?

Perché non ne abbiamo una migliore. E’ stata la mediazione possibile in difesa di una caccia sociale e in armonia con le Direttive Comunitarie.
C’è da fare un grande distinguo tra la normativa italiana e quella dei paesi Europei. Questa legge conferma che la selvaggina patrimonio indisponibile dello Stato, così come scritto nella legge 968 del 1977. Questo principio, però, troppo spesso è stato calpestato dal mondo venatorio. In Italia, poi, c’è l’art. 842 del codice civile, unico Paese Europeo, per consentire la caccia nella proprietà privata, purchè programmata.
Certo questa legge ha bisogno di essere aggiornata e modificata, ma in questo momento occorre fare una riflessione: un Parlamento con sentimenti animalisti trasversali a tutti gli schieramenti, un Paese trainato da una cultura urbana animalista, quale risposte può dare? La risposta è facile: fare nuove alleanze con il mondo agricolo, il mondo ambientalista e il mondo scientifico.
Questa legge, tanto vituperata da alcuni, ha garantito per anni il diritto di esercitare l’attività venatoria, senza scontri ingestibili. Quando invece, in maniera scellerata, sono state apportate le modifiche all’impianto della legge (vedi modifica dell’art. 18 – Comunitaria del 2009), che secondo i proponenti doveva garantire più tempi e specie, si sono scatenati ricorsi sui calendari venatori, cosa che ogni anno puntualmente avviene, vedi le ultime vicende dell’Abruzzo.
Altro esempio, la Regione Toscana ha modificato la legge Regionale, passando da A.T.C. di dimensioni sub provinciali a dimensioni provinciali, ha fatto si che la Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionale la Legge Toscana, mettendo di fatto in crisi la caccia in Toscana.
Questo per dimostrare che tutte le volte che il mondo venatorio è voluto uscire dagli schemi della legge con modifiche senza fondamento e senza alleanze, ne uscito sempre con le ossa rotte, così è la storia.

 

 


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