Gli anni trenta però sono anche il periodo delle “Verdi colline d’Africa” di Ernest Hemingway. Il vate di Chicago terminò di scrivere il suo romanzo più venatorio nel novembre del 1934, pubblicandolo poi l’anno successivo. La prima accoglienza fu fredda, quasi sospettosa, ma il libro era destinato a diventare un “cult”. Hemingway era nel fulgore dei suoi trent’anni, e aveva vissuto una vita incomparabilmente piena baciato dal successo di “Addio alle armi” e “Morte nel pomeriggio”. “Verdi colline d’Africa” è lo specchio di tutto ciò. Lo stile di Hemingway è inimitabile, qui con la traduzione di Bertolucci e Rossi: “ A un certo momento vedemmo, in un luogo aperto in mezzo alla macchia, tre piccole kudù femmine: erano grigie, e
avevano grossi ventri, lunghi colli e grandi orecchie. Mossero rapidamente verso i boschi e scomparvero. Scendemmo dal camion e cercammo di metterci sulle loro tracce, ma non c’era nessuna pesta di kudù maschi. Un po’ oltre un branco di faraone attraversò velocemente la strada, correndo con la testa tesa, alla maniera dei trottatori. Appena balzai dalla macchina e mi buttai ad inseguirle esse volarono via, le gambe ripiegate sotto, pesantissime, chiocciando e sbattendo rumorosamente le corte ali per portarsi su, al di sopra degli alberi. Ne colpii due che caddero con un colpo sordo e giacquero per terra sbattendo le ali. Abdullah, perché si potessero mangiare senza andar contro la legge, tagliò loro la testa. Poi le portò sull’autocarro dove M’Cola, seduto si burlava di me e del mio tiro a volo. Datava quel riso dal giorno che l’aveva divertito tutta una serie di furiosi colpi a vuoto, ed ora quando io uccidevo per lui era uno scherzo, come quando colpivamo una iena, che era lo scherzo più divertente che si potesse immaginare ”. In poche frasi il Premio Nobel traccia da par suo l’intersezione di varie dimensioni che s’incrociano: la caccia grossa, quella minuta, il comportamento animale e quello umano, e perfino l’afflato religioso. Inarrivabile maestro di penna, di caccia e, fino ad un certo punto della sua esistenza, anche di vita.
CACCIA E LETTERATURA: LA PENNA DI ARTEMIDE
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