I primi decenni del novecento sono anche il periodo di Jack London e del suo “Richiamo della foresta”, nonché dei suoi emuli, primo fra i quali James Oliver Curwood autore del bellissimo “I cacciatori di lupi” ambientato nel grande Nord canadese, di cui ho sotto gli occhi l’edizione del 1929 edita da Salani. Curwood, come il suo grande maestro dimostra una profonda conoscenza della vita degli animali e delle usanze dei pellerossa, presso cui visse e la cui causa prese a cuore come una missione di vita, oltre che delle tecniche di caccia all’epoca seguite dai bianchi. In lui si stempera il crudo, a volte rabbioso verismo di London per dar spazio ad un’introspezione più intimistica della natura stessa e delle sue leggi. Ciò, pur rendendolo meno affascinante dell’ineguagliato Jack, conferisce ai sui scritti un carattere tutto suo, consentendogli di non rimanere schiacciato dal peso di un gigante come London. La splendida scena della slitta guidata da un uomo da solo con una bambina, inseguita dai lupi nell’oceano bianco della tundra, in “Kazan, cane lupo”, è una di quelle che maggiormente danno il senso del peso letterario di un autore come Curwood.
CACCIA E LETTERATURA: LA PENNA DI ARTEMIDE
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