Un autore italiano che stilisticamente potremmo accostare al grande maestro germanico è stato Eugenio Niccolini di Camugliano, marchese, senatore, cacciatore di maremma e letterato fra i più raffinati. Nelle sue “Giornate di Caccia”, più volte ripubblicato a partire dagli anni quaranta, ha raccolto molte delle sue esperienze in
un canto nostalgico rivolto ad ambienti che già all’epoca andavano scomparendo, senza rinunciare all’accuratezza naturalistica nelle descrizioni delle abitudini dei selvatici o delle essenze vegetali, a testimonio di una pratica venatoria assidua e competente. In Niccolini emerge bene il lato lirico e malinconico, inevitabile per un uomo nato a metà ottocento, a cui si univa il disincanto un po’ disperato di chi aveva visto troppo e troppe cose cambiare, in ossequio ad un preteso, a volte becero, senso del progresso. Al medesimo, aureo periodo, dobbiamo ascrivere il piemontese Eugenio Barisoni, classe 1886, che riuscì ad impressionare l’editore Bompiani con la qualità dei suoi articoli su “Diana”, riuniti in “Cacciatori si nasce” del 1932. Seguì “Bella vita vagabonda” e “Uomini semplici” nel 1934, “I camminanti” e “Poi tornò il sole” nel 1941 fino all’intenso “Uomini e bestie nella tormenta” pubblicata nel 1959. Barisoni è dinamico nello scrivere, quasi sceneggiativo ma con forti ammiccamenti all’impressionismo. Il passo della
notte di bisboccia al capanno, narrato nella storia “Il pesce crudo”, prima della serie che compone “Bella vita vagabonda” è esemplificativo, secondo me, dello stile dello scrittore di Novara: “..Dei quattro amici che eravamo riuniti a tavola quella notte, due, bevitori diplomati, avevano passato il segno, io e un altro invece eravamo sani….C’erano quella notte con noi due ragazze, le due amanti degli amici sborniati. Credo anzi che fosse stata la loro presenza a eccitarli a tracannare fuor di misura..Di giorno si erano presi molti pesci nelle lanche. A un punto, il più smoderato dei due volle giuocare che ne avrebbe mangiato uno crudo……Egli l’addentò, le ragazze fecero boccacce coprendosi gli occhi con le mani, io mi sentii sdegnare lo stomaco. Ma alla seconda boccata il divoratore scivolò giù dalla sedia e andò a finire sotto la tavola. La sua amante, che gli era vicina di sedia, fu presta a chinarsi e riuscì a non fargli battere la testa sull’ammattonato. Come egli si trovò disteso per terra si addormentò col pesce sanguinante tra le mani..”
CACCIA E LETTERATURA: LA PENNA DI ARTEMIDE
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