A giorni alterni, essendo roso dal dubbio della prima ipotesi, con fatica notevole e indescrivibile, mi arrampicavo su, per il tratto più breve, a portare loro pezzi di pollo e crocchette dei miei cani. E che loro mangiavano, perché me ne accorgevo dalle impronte e dai lunghi fili d’erba che ponevo di traverso davanti a tutte le uscite della tana. Smisi alla terza visita quando, arrivato nei pressi della tana, schizzò via un volpone che, prima di scomparire tra il folto degli anfratti circostanti, si fermò a guardarmi. Era di sicuro il padre. Forse fu uno sguardo di ringraziamento. Bastò quello a ripagarmi di ogni fatica. Ciononostante lasciai la cibaria proprio lì, quale suggello della mia compartecipazione. Andai via tranquillo. La famiglia, seppure fosse venuta a mancare la mamma, resisteva.
Volevo esserne sicuro. Dopo una settimana circa, infatti, cambiai programma. Mi feci tornare la voglia di arrivare in cima al Reventino. Soprattutto, per sincerarmi se attorno a quella tana c’era ancora vita. Per essere certo dovevo essere sotto quel leccio appena giorno.
Così fu. Arrivato al solito posto, mi fermai a lungo. La giornata era assolata. Dopo tanta attesa li vidi sbucare dall’anfratto vicino alla tana. Guardarono attorno, come se volessero ispezionare. Li vidi rincorrere farfalle e, a volte, giocare a lotta fra loro. Pratica necessaria nell’età adulta, quando dovranno determinare e difendere il territorio di appartenenza. Finii col pensare che avrebbero superato pericoli e avversità. Idealmente augurai loro di sopravvivere anche ai tanti pericoli cui ogni vita selvatica va incontro.
E sapete come finì questa storia?
Che mi diedi dello stronzo!
Non avevo riflettuto sul fatto che, a differenza dell’uomo, gli animali nascono con un cervello più compiuto e con potenziali inimmaginabili. In loro tutto è innato e definito. Appena nati o svezzati, istintivamente sanno provvedere autonomamente alla propria sopravvivenza, a distinguere le minacce e a come difendersi. Basta pensare alla migrazione di tante specie alate che, istintivamente, sanno quando e come partire, per tornare nei luoghi di nidificazione. Tanto non è presente nell’uomo. Lo psicologo Pietro Trabucchi, così ha scritto: “Se compiliamo la graduatoria degli animali più precocemente competenti, l’uomo fa la figura dell’imbranato cosmico. Il cucciolo d’uomo impiega più di una decina di anni a diventare autonomo: anzi, a dire il vero, nella società attuale questo lasso di tempo spesso si triplica”. Verità inconfutabile. L’uomo, infatti, per completare il suo cervello deve dedicare moltissimo tempo della sua vita ad apprendere e sviluppare nuove capacità.
In anteprima esclusiva per Caccia Oggi, uno degli episodi del volume di Francesco Materasso, “Una vita nella natura”, di prossima e attesa pubblicazione…
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