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In anteprima esclusiva per Caccia Oggi, uno degli episodi del volume di Francesco Materasso, “Una vita nella natura”, di prossima e attesa pubblicazione…

La biblioteca
1 Aprile 2016 di Redazione Caccia Oggi
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“Un libro scritto non da me, ma dal tempo. Io, l’ho solo ordinato cercando di dare un filo a una sorta di diario cedendo alla tentazione del ricordo personale, che inevitabilmente da esso scaturisce e con esso s’intreccia.”

                                                                                                                        Francesco Materasso

”  ORFANI ”

Era un lunedì del mese di maggio. Quel giorno volevo salire in cima al massiccio del Reventino (9): a millequattrocentoventimetri, attraverso uno dei più sinuosi percorsi che esso offre.
Per arrivarci, da passo Acquabona (10) occorre un’ora e più di cammino. Una buona dose di agilità e prestare attenzione a dove si mettono i piedi per evitare rovinose cadute.
L’altimetro mi dava milleduentocinquantametri. Per arrivare alla meta mancavano un centinaio di metri o poco più: i più ripidi. Mi sedetti. Appoggiai le spalle a un Orfleccio cespuglioso*. Un posto ove abitualmente sostavo, non per prendere fiato ma per godermi l’ampio scenario che, solo da quel punto, si offriva agli occhi. Mi tolsi il berretto. Dopo essermi passato la mano sulla fronte per asciugarmi il sudore, alzai gli occhi. Innanzi, un quadro armonioso e gioioso, d’incomparabile bellezza che soltanto la natura riesce a mostrare, con un’infinita varietà di arboreti e di colori. Fermo e silenzioso riesco a cogliere gli ultimi scampoli della primavera che ancora riempiva l’aria di fragranze delicate. A riflettere con calma e serenità. Sono questi i momenti in cui ci si rende conto di vivere realmente e piacevolmente. Di esistere, di essere presente nel mio mondo, di notare altre meraviglie che mi erano sfuggite. E mi accorgo che, se osservo con attenzione, smetto di pensare. Attorno a me armonia; nell’intimo una tranquillità interiore senza pari. Entro nella realtà che mi sta davanti. Nient’altro esiste. Solo il silenzio, dentro e fuori. Che odo di più quando, a tratti, interrompo il respiro. Questo significa realmente godere il silenzio che si ha attorno, immergendovisi. In quel silenzio che ti fa veramente sentire la silenziosità della natura. È come se entrassi in un teatro. Il pensiero si ferma, tace, si resta entro se stessi. E finiscono i patimenti e le seghe mentali. Si va in catarsi contemplativa. “L’uomo è dove è il suo cuore, non dove è il suo corpo”, così scrisse Gandhi. Fui svegliato dalla silenziosa contemplazione, è il caso di dirlo, da una coppia di colombacci che sfrecciarono da una non distante folta chioma di un ippocastano*. Alla mia vista s’inerpicarono vogando con le ali su, nell’alto del cielo. Abbagliato dalla luce del sole, se avessi avuto il fucile, non sarei riuscito a tirare nemmeno un colpo. In alto il gracchiare di un folto stormo di cornacchie e il fischio di una poiana, concorsero a rompere la solenne quiete della montagna. E così l’insorgere del vento che incominciò a sollecitare il fruscio delle querce e dei castagni sottostanti. Fra le foglie del cespugliato, quasi sulla mia testa, sentii un debole squittio. Gli occhi mi andarono a un moscadino* che camminava piano su un ramo sottile. Appena si accorse della mia presenza iniziò a scendere, quasi a volersi nascondere. Esso è uno dei tanti topolini di montagna. Che non sia stato proprio lui a entrare nella leggenda come quel “topolino partorito dalla montagna”. Alludo alla favola di Fedro, ripresa poi da La Fontaine.

Pag 2] Per scrutare la lontananza e andare nei particolari del paesaggio, inforcai il cannocchiale sul naso. Mi soffermai a focalizzare quelle borgate arroccate sui crinali delle colline. Mi accorsi, ahimè, che a distanza di quasi un anno, a nome e per conto dell’abusivismo protetto dagli uomini e disdegnato dalla natura, esse erano cresciute in espansione. C’è anche un abusivismo di montagna, che nessuno ferma. Se ne parla e se ne fa ammenda solo quando qualche casa scende a valle. Ispezionai il basso sottostante per vedere se c’era la possibilità di un percorso al- ternativo per la discesa, oltre a quello che abitualmente percorrevo. Diressi il cannocchiale verso l’unico poggio. Tre piccoli volpacchiotti entravano e uscivano dalla loro tana. Assicuratesi che nei dintorni non vera alcun pericolo, si diressero, con fare sospettoso verso una sagoma che a me sembrò essere una volpe adulta: probabilmente la mamma. Non riuscii a focalizzarla, giacché era all’ombra . Anche perché il cannocchiale che tenevo non aveva un grosso potenziale. Lì si acquattarono e vi rimasero per un bel po’. Fino a quando non rientrarono nella tana. Quella sagoma rimase lì, immobile. Incuriosito, divallai di una settantina di metri, per sincerarmene. Prima di arrivarvi sentii un intenso odore di urina, tipico della presenza di più volpi. Quando vi arrivai, non volevo credere ai miei occhi. Il cuore mi si frantumò e la stretta che subì fu terribile. Provai una forte sensazione di freddo: divenni un pezzo di ghiaccio. Piansi dentro, perché dai miei sacchi lacrimali non uscì nulla. Si raggelò anche il mio cervello. La sagoma era proprio mamma volpe: morta, distesa sul fianco destro, con gli occhi aperti e così belli tanto da sembrare ancora vivi e che mi diedero la sensazione di avere voluto guardare, per l’ultima volta, la dov’era l’ingresso principale della sua tana. Non so descrivere quello che ho provato in quel momento e dopo. Un rivolo di sangue le usciva da sotto il treno posteriore. La voltai, non era ancora irrigidita. Non ebbi dubbi. Un colpo di fucile le aveva procurato seri danni, al costato destro, fino a dissanguarla. E lei per amore dei figli era quasi riuscita a raggiungere la propria tana, lì dove sapeva di avere lasciato i suoi cuccioli: rimasti orfani per colpa di un bipede così definito dalla scienza un umano. Forse, non vi era entrata per non essere ingombrante da morta. La esaminai attentamente. Rimasi di sale quando le vidi tutti gli otto capezzoli umidicci. Per conferma li toccai quasi tutti. Uno lo strizzai dall’alto in basso; di latte ne uscì poco. Segno tangibile che i volpacchiotti erano usciti a suggere il latte della mamma. [section_title title=Pag 3] Già qualche mosca le svolazzava intorno. Chissà se si resero conto che era morta! Sparare a un animale a caccia chiusa, è il più vile atto di bracconaggio che si possa compiere. Mi venne una rabbia che non dava spazio a nessuna giustificazione e indulgenza. Anche perché gli animali piangono. Questo è inconfutabile. Scienziati e documentaristi hanno dimostrato e sono tutti concordi che gli animali, in quanto esseri viventi, esprimono come noi stati d’animo, emozioni e mimica facciale. Taluni sono andati oltre. Con le risonanze magnetiche, hanno avuto tangibili conferme. Sì, quei volpacchiotti, secondo me, avranno pianto. E tanto. Ciononostante dovetti pensare a tutte le possibili soluzioni ponendomi, fra me e me, domande e risposte. I cuccioli si erano intanati, intimoriti della mia presenza che di sicuro avevano avvertito, prima che io vi arrivassi. Ispezionai il posto. Nel raggio di sei passi c’erano l’entrata e l’uscita principale, più altre tre laterali di dimensioni diverse. Opere d’ingegneria. Non distante un piccolo fossato. Lì la deposi, coprendola con uno spesso strato di terra. Con sopra tante pietre. Onde evitare che i figli la esumassero. Fatta la degna sepoltura, restava cosa fare dei cuccioli. Sarebbero morti di fame o prede di cani randagi. Toglierli dal loro habitat sarebbe stata la decisione peggiore. Decisi per un’adozione a distanza, consapevole che i cuccioli in lattazione non hanno lunga vita in natura. Mi sedetti su un masso per riflettere, perché qualcosa non tornava. Mi sovvenne che la famiglia delle volpi e di tipo monogamico, quindi padre e madre collaborano insieme per la crescita dei piccoli. E questo fin quando non avviene lo svezzamento. E incominciai a chiedermi: perché la mamma, il cui compito è di non lasciare mai soli i piccoli e di allattarli, si era allontanata dalla tana quando è il padre che va a cacciare per cercare il cibo per l’intera famiglia? E se la caccia è stata abbondante, quando è in prossimità della tana, lo rigurgita. Su questo non avevo dubbi, perché rientra nell’affermazione di Willima Shakespear: “Le volpi hanno un loro codice”. Al padre era capitata la stessa sorte, o era nei dintorni a controllare quello che stava accadendo? Sperai nella seconda ipotesi. Erano le ore undici e zero cinque minuti. Quel giorno abbandonai la voglia di arrivare in cima. Divallai ancora finché fame e stanchezza non si fecero sentire. Mi sedetti a mangiare il gustoso panino, amorevolmente preparato da mia moglie Rosanna. Bevvi un sorso d’acqua. Ripresi a camminare fin quando arrivai al fuoristrada. [section_title title=Pag 4 »

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