Fino ai primi del novecento, l’Italia era un paese con due anime: da una parte la consapevolezza di essere stata la nazione che più di ogni altra aveva contribuito all’egemonia culturale europea sul mondo intero, dall’altra la disperante povertà, soprattutto campagnola, figlia di secoli di imposizioni esterne, di signorie poco illuminate e di un laissez-faire segnatamente italico, quel “Francia o Spagna purché si magna” di un popolo succube in casa propria ormai dai tempi della caduta dell’impero di Roma.
Nella caccia, che, lo si voglia o no, è sempre specchio fedele delle congiunture storiche, economiche e culturali di un paese, accadeva la stessa cosa. A parte le classi privilegiate, la maggior parte di coloro i quali potevano esercitare l’attività venatoria, lo facevano con la sacrosanta prospettiva di mettere qualcosa di sostanzioso sulla tavola senza badare ai fronzoli costituiti da razze, stili di lavoro ed altre allegre amenità.
Questo accadeva non solo e non tanto per l’assenza di una cultura cinofila di base, ma segnatamente per la presenza di qualcosa che aveva fatto sentire tutto il suo peso: la scarsa uniformità di tradizioni e costumanze venatorie, derivata dal sovrapporsi di culture e padroni differenti su tutto lo svolgersi della nostra penisola.
l’epigono più importante di questo stato di cose era rappresentato dalla situazione segugistica italiana, che all’alba del novecento era ben lungi dall’essere unitaria sotto il profilo razziale, poiché ancora mancante, nelle nomenclature e nei fatti, di un “segugio italiano” univoco e diffuso, mentre erano invece presenti alcune realtà zonali più o meno genuine, più o meno attestate territorialmente. Su “La Caccia” del 1882, l’Artus tentò meritevolmente una sistematica riassuntiva di questi gruppi genetici locali che può essere considerata accettabile, pur peccando di una veniale superficialità di approfondimento. L’antico cronista riportava l’esistenza di sei razze da seguita esistenti in Italia nel periodo in cui lui scriveva, ovvero la fine dell’ottocento: il segugio di Lomellina, il lepraiolo dell’Appennino, il montagnino delle Alpi, il segugio, o bracco, calabrese, il cirneco siciliano ed il vertreddu di Sardegna.
SEGUGI ITALIANI : STORIE DI CASA NOSTRA…
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