Difatti proprio dal dato temporale dell’apertura ai primi i settembre, o anche agostana durante i decenni precedenti agli anni sessanta, si può evidenziare un importante fattore fra quelli che hanno condotto alla rarefazione prima ed alla scomparsa poi, della starna selvatica. E’ chiarissimo ciò che sostiene in proposito Felice Steffenino, illustre penna cinegetica piemontese. Lo scrittore, starnista, starnofilo e starnologo, nella sua raccolta di articoli “Starne ed altre cacce” riferita temporalmente ad un periodo che va dai primi anni sessanta alla metà del decennio successivo, stigmatizza la data dell’apertura alle starne bollandola ferocemente di incongruenza biologica. Senza pietà, dicevo, ma con argomentazioni inconfutabili. Ascoltiamole: “Starne d’apertura….sono il rovescio della medaglia, irriconoscibili. Goffe, irriflessive, all’apertura sono sempre state così: il resto è letteratura,
retorica……..Frutto autunnale, l’apertura estiva le è sempre stata letale….Acerba di cervello, male impiumata ha ala indebolita. Indisposta per le veloci pedinate, si sente fisicamente menomata e si disanima al primo pericolo. Ha comportamento goffo in volo e a terra…”. Steffenino prosegue l’arringa spiegando come queste brigate tendano, all’apertura, a compiere rimesse corte a causa delle ali ancora poco funzionali e come, una volta disunite e private della forza morale che il branco conferisce loro si smarriscano facilmente ed inizino a chiamare le compagne appena toccata terra, rendendosi facile preda. Sostiene che la starna è tale da ottobre in avanti, quando il cervello è maturato ed il piumaggio è forte e completo. Solo allora “torna ad essere eterna”. Termina con quello che con il senno di ora fu un vaticinio, all’epoca non capito o non accettato: “Non s’illudano i giovani; la maggior parte di ciò che si trova scritto nei libri di caccia è retorica. Certa prassi venatoria è ributtante, come le starne alla fine d’agosto. Tanta sprovvedutezza stipata in una sola data è allarmante per l’avvenire della starna….”. Come non dargli ragione, a distanza di almeno quarantacinque anni da queste affermazioni? Forse, se all’epoca fosse stata posta più attenzione alle
giuste congruità biologiche, come avveniva ed avviene nelle nazioni più avanzate, oggi saremmo qui parlare di un’apertura alle starne, differita dalla generale e rispettosa delle esigenze naturali di un selvatico che potremmo avere ancora a disposizione. Mezzo secolo prima, ai tempi dell’ “apertura alla Verna” la pressione venatoria era neanche la decima parte di quella che seguì la rinascita economica fra gli anni cinquanta e sessanta. L’apertura estiva era dunque innocua per le starne, poiché i contingenti reggevano bene l’urto ed anzi ne uscivano fortificati come da un processo di selezione naturale. Inoltre, all’epoca, per chi amava il cane da ferma, la starna costituiva, come testimoniato dallo scrittore toscano e da tanti altri come lui, il piatto forte dell’apertura, ovvero ricopriva il ruolo che il fagiano ha iniziato a svolgere dall’inizio degli anni settanta a tuttoggi. 
E terminiamo come abbiamo iniziato dunque, in compagnia di Vincenzo Chianini che dopo aver enumerato le giuste caratteristiche per cacciare le starne all’apertura commenta: “I novellini, i fiacchi, i pigri, i cacciatori di parata, quelli che vanno al caffè con le scarpe di vacchetta, la cacciatora d’ultimo modello e la cartucciera lucente, si sgomentano nell’arsura desolata di queste piaggie e presto se ne vanno a sonnecchiare all’ombra di un pagliaio o di un ciglione, svegliandosi dalla sonnolenza soltanto se rintrona una coppiola. Alzano allora la testa, girano attorno l’occhio assonnato e per consolarsi esclamano – Tirano alle farfalle!…”
Le stesse farfalle a cui oggi vorremmo poter tirare anche noi.
L’ISOLA CHE NON C’E’ : APERTURA D’UNA VOLTA ALLE STARNE
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