L’eterogenea comitiva scambia gli accordi per le poste, e i quattro cani vengono sciolti fra le erbe assetate ed i verdissimi cespugli di cappero da poco sfioriti.
Leo attacca per primo con la sua voce squillante e sicura, creduto immediatamente e seguito a ruota dalla cagna nera fasciata di bianco, da sempre presentata dal suo padrone come “bracca spagnola”. Come, poi, ai primi del novecento, fosse arrivato un “bracco spagnolo” nell’estrema parte meridionale della Calabria, mastro Mico non lo aveva mai chiarito, né, d’altronde, mai nessuno aveva davvero indagato. Dietro i primi due si unisce il segugio a pelo forte di zio Sarino, “maestro su tutto, dalla volpe al cinghiale” passando, appunto, per la lepre. Ma il maestro non decifra, non si appassiona, snobba gli altri e si perde solitario risalendo il letto della fiumara poco distante. La sua compagna bianca invece, non stacca il naso da terra. Muta ma avvinta all’usta, par che voglia inspirare anche l’argilla con le sue piccole narici meticce. In poco tempo, Leo aumenta il ritmo dipanando gli ultimi enigmi notturni e cantadone le soluzioni in coro con l’anziana collega “spagnola”. D’un tratto la bianchina li sopravanza, saltella qua e là, poi parte decisa verso un olivo. Accompagnata da un grido acutissimo schizza la lepre, tallonata prontamente dalla cagnina urlante mentre Leo e la vecchia nera fuoriescono dal cespugliato spinoso in cui erano andati a ficcarsi, tentando di raggiungere i fuggitivi. La nera corre per un po’, poi cede terreno ansando e prendendo a trotterellare con la lingua penzoloni, ormai distanziata. Le voci dei cani salgono per un’erta pettata bianca e gialla, attraversano per intero il boschetto di eucalipti che la corona e discendono dall’altra parte sempre più inferocite. Risuonano due botte a breve distanza, e da dietro un’onda di creta si vede un filo di fumo grigio contro l’aria ancora cerulea. E’ stato mastro Pasquale a sparare, che alzandosi osserva compiaciuto le canne della sua nuova doppiettina. Umberto, il ragazzo, attraversa veloce la campagna graffiandosi le gambe nude fra le erbe dure, e arriva sulla lepre prima di zio Sarino, e togliendola ai cani che altrimenti avrebbero finito per rovinarla. Poi, euforico, li accarezza uno ad uno con affetto, compreso il “maestro su tutto”, che nel frattempo era ritornato dalla gola della fiumara mettendo in ala un merlo maschio, che è svolazzato fra i bassi cespugli odorosi, finendo per posarsi fra i rami di un ligustro.
Dal fitto delle ramaglie l’uccello osserva la scena, saltella e muove la testa sospettoso. Nei suoi occhi rapidi si riflette il bianco della nuvola di polvere che viene su dalla carraia. E’ una Fiat millecento D di color celeste, che s’inerpica come può, sfidando le buche ed i trabocchetti argillosi.
APERTURA ALLA LEPRE: CENT’ANNI DI PASSIONE…
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