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IL SEGUGIO ISTRIANO : “NASO” D’ORIENTE…

3 Giugno 2015 di Ettore Bassani
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“Che brutti pointers! E guarda là come cacciano…..naso a terra e coda a tutta randa!”. Con queste parole l’amico Pino catalizzò la mia attenzione su una coppia di cacciatori nell’intento di perlustrare una valletta che verdeggiava proprio sotto la collina su cui noi ci trovavamo. Voltai repentinamente il capo, aguzzai la vista e focalizzai le tre bianche figure canine che frugavano velocemente il prato sottostante.
“Guarda che non sono pointers, Pino”, affermai con calma, sorridendo benevolmente, “Si tratta di segugi. segugi istriani per l’esattezza, e stanno cacciando la lepre”. L’amico rimase perplesso per qualche istante e poi, continuando a fissarli, sibilò: “…Si…già….è vero. Come ho fatto a non pensarci….ma guarda tu che roba…sono così strani…”.
“Non più di tanti altri. Chiaramente per la maggior parte dei cacciatori il segugio deve essere quello italiano, ed i colori bisogna che siano i suoi. Questa è senz’altro la ragione principale che ti ha sviato dall’idea di cane da seguita, accompagnata poi dalla distribuzione del colore arancio sulle orecchie, proprio a mò di pointer, e dal bianco vitreo del mantello”. La risposta lo convinse pienamente e l’analisi della quasi plausibile “toppata” cinotecnica parve sollevarlo dal peso che questa gli aveva scaricato sul groppone all’improvviso.
In realtà, fino a qualche anno or sono, il qui pro quo in cui l’amico era malamente incappato era molto più frequente di quel che oggi si potrebbe immaginare. I segugi istriani non erano moltissimi e quei pochi che vivevano nel nostro Paese non 15potevano dirsi granché conosciuti dalla massa dei cacciatori e dei cinofili. Naturalmente la ragione di questa ignoranza non poteva essere attribuibile alla lontananza geografica. L’Istria era italiana, è a mezzo passo da noi e la nostra lingua viene compresa e parlata abbastanza diffusamente. Il problema, dunque, doveva risiedere ovviamente in istanze di natura politica e culturale. Intorno alla fine degli settanta, però, l’incremento dei viaggi di natura venatoria anche verso alcuni paesi della cortina di ferro portava ad incontrare e ad apprezzare nuove realtà, a volte interessanti altre volte meno, che spesso erano sinonimo di razze canine di cui fino a quel momento non si sospettava se non vagamente l’esistenza. I primi esemplari di quegli strani segugi simili a cani da ferma di dubbia origine, iniziavano così a far capolino, oltre che in Friuli dove per ovvie ragioni erano già abbastanza attestati, anche presso alcune squadre di caccia al cinghiale liguri e toscane. Se ne magnificavano le doti di incrollabile resistenza, di facile addestrabilità e di buona iniziativa. Non erano esagerazioni.

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