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Museo e Rifugi della S.M.I.:la fabbrica di munizioni in mezzo alle montagne

Armi e bagagli
19 Maggio 2015 di Gaio Saverio Fabbri
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I rifugi antiaerei

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Anche se nel sito del Museo non è ancora possibile la visita ai capannoni, nei locali aperti al pubblico sono comunque esposti alcuni dei macchinari più interessanti che furono in forza allo stabilimento di Campo Tizzoro come queste macchine caricatrici di cartucce Fritz Werner già in uso all’inizio dell’attività (1911). Il funzionamento è totalmente meccanico ed a bordo macchina non vi sono componenti elettrici (l’azionamento avveniva tramite un motore posto in un locale adiacente). Sono state usate fino al 2001 per allestire piccoli lotti o cartucce di precisione, nonostante che la loro produttività fosse solo di 50 cartucce al minuto; i macchinari in uso per la produzione corrente arrivavano fino a 600 pezzi al minuto

Sempre negli anni ‘30 viene emanata una legge perché tutti gli stabilimenti industriali di una certa importanza a livello nazionale, soprattutto quelli utili ad un eventuale sforzo bellico, vengano dotati di rifugi antiaerei. La S.M.I. di campo Tizzoro nel 1937 inizia i lavori per realizzare i suoi. Al solito gli Orlando non badano a spese per costruire una struttura sicura e funzionale che sarà il sistema di rifugi antiaerei per siti industriali più esteso di tutta la Seconda Guerra Mondiale. Dalla Gran Bretagna, grazie ai canali privilegiati con le Forze Armate inglesi sviluppati durante la Prima Guerra Mondiale, fanno giungere un particolare tipo di cemento, il Portland, ad alta resistenza e per impiego militare. Dal nord Italia vengono reclutati operai specializzati nella escavazione di zone rocciose. In appena 8 mesi ad una profondità di 25 metri sotto il perimetro dell’area degli stabilimenti vengono realizzati nella roccia viva 3 km di gallerie con vari locali in grado di ospitare oltre 7.000 persone, in pratica l’intera forza lavoro, 702okamministrativa e dirigenziale della S.M.I. in tempo di massima produzione. Ci sono ben 8 ingressi alla zona sotterranea che grazie a scale elicoidali consentono l’accesso ai tunnel in meno di 5 minuti a tutto il personale. Gli accessi sono protetti da bunker a ogiva con porte da corazzata, auto sigillanti prodotte dalla Oto Melara, altra realtà industriale legata agli Orlando, che vantano uno spessore di 120 millimetri, e costituite da acciaio per la parte esterna e cemento in quella interna. Le chiusure sono sigillate con guarnizioni per gli attacchi a base di gas. Le gallerie, poi, sono auto ventilate perché progettate per creare una circolazione naturale al loro interno; vengono previsti e realizzati locali di decontaminazione per chi esca a verificare un eventuale attacco con gas. I bunker del Progetto Ogiva sono in grado di resistere a 500 chili di tritolo.

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