Dirigendoci verso il canale, passammo accanto ad un rudere, da sempre dimora elettiva di una numerosa colonia di piccioni di campagna che al nostro arrivo iniziarono a partire a stormetti di tre o quattro, sfrecciando a poca distanza da noi. Uno, due, tre colpi a rapida ripetizione abbatterono tre uccelli con precisione impressionante: Pennyblack scattò al riporto e Simone espulse i bossoli esplosi per ricaricare. Attesi che la labrador terminasse l’opera di riporto mettendo in luce una memoria di gran livello, quindi, mentre stava commentando con termini entusiastici il lavoro della cagna, mi rivolsi al ragazzo: “Adesso che fai, li mangi subito o li riporti a casa?”
“Come scusi? Non capisco..in che senso?”
“Nell’unico senso che offre la Lingua Italiana: non ti aspetterai che io vada in giro con uno che ha tre piccioni in cacciatora, spero? Vai a casa, rimanendo fuori dalla portata di Balto: sono assicurato ma non voglio averti sulla coscienza.” replicai duro. Simone diventò ancora più bianco di quel che era. Balbettò qualcosa verso di me che continuavo a guardarlo dritto negli occhi e fece per ritornare con i suoi piccioni. A quel punto intervenne mio fratello, che giustamente suggerì di nasconderli da qualche parte e di recuperarli al ritorno. C’ero arrivato anch’io, ma volevo dare a quel giovane una lezione di comportamento a caccia, anche se lui avrebbe potuto in ogni momento darmene una di tiro al volo. Per non perdere tempo, tuttavia acconsentii. Nascosti i piccioni in un angolo interno della casa abbandonata, arrivammo al fiume e, come faccio sempre con chi viene a caccia con me per la prima volta, enumerai a Simone le “mie” regole: tiro solo alla selvaggina levata dal cane con eccezione di anatre e colombacci. Colombacci, non piccioni, rimarcai. Prima di far fuoco massima attenzione alla posizione dei cani e dei cacciatori. Niente chiacchiere inutili. L’ospite spara sempre per primo. Nessuno, tranne me, può dare ordini ai cani.