Per esercitare la caccia alla seguita, naturalmente, occorrono i segugi. Anzi, questi ultimi sono, insieme al selvatico perseguito, gli attori principali di un dramma naturale infinito, rappresentazione antichissima ma sempre attuale di una delle grandi verità della natura, ovvero la predazione nella sua essenza più autentica..
Com’è noto, si può cacciare tanto coadiuvati da un singolo cane, quanto con un numero di soggetti che può variare a seconda del tipo di impostazione che si vuol dare alla seguita, e, in via secondaria ma non priva d’importanza, in base all’ambiente su cui la battuta si svolgerà: inoltre si può essere da soli, con un amico o con un gruppo di colleghi.
Come deve essere il segugio che caccia da solo? Quali caratteristiche dovrebbe possedere per essere davvero in grado di far incarnierare la lepre? La domanda, anzi le domande, benché “sorgano spontanee” non consentono una risposta semplicistica, né una definizione laconica. Ricordo ancora, da ragazzo, con quanto trasporto leggevo il celebre “Manuale del cacciatore col segugio” del grande maestro Zacchetti. Egli distingueva le varie figure che compongono una muta attribuendo ad ognuna di esse una precisa specializzazione: era necessario l’accostatore, lo scovatore nel folto, quello nel pulito, l’inseguitore, il boschettatore e via discorrendo, il tutto coordinato dal cane di testa da lui definito “guidaiolo” che doveva avere carisma di leader, nonché possedere un po’ tutte le arti dei compagni.
Caccia alla seguita: uno per tutti…
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