Decidiamo di battere l’area seguendo un andamento in senso orario, in maniera tale da concludere il giro nel punto dove abbiamo lasciato l’automobile, Ma è una lunga traversata quella che ci aspetta, molto più di quello che immaginiamo.
Foco parte in sordina: non conosce l’ambiente, e vuole saggiarne l’universo olfattivo con calma prima di innestare la marcia giusta. Si allarga di una trentina di metri alla nostra sinistra e innalza la testa mantenendo un trotto leggero. Lo seguiamo in silenzio, tenendo i fucili appoggiati sull’avambraccio e osservandone ogni mossa. Scendiamo e risaliamo la radura, accostiamo una serie di sieponi e poi, dietro la mezza coda del bracco, entriamo nel bosco. Il cane inizia a scaldare i motori; prende velocità, assaggia l’aria resinosa e il terreno ricoperto da un sottobosco di felci e di rovi, e si spinge ben oltre la portata del nostro occhio.
“Questo va come un treno! Forse converrebbe mettergli il campano..”, suggerisce Salvatore, ammirato dalla cerca efficace ed elegante del giovane bracco.
Ha ragione, e annuisco: “…adesso però non voglio richiamarlo: lo farò non appena ritorna a vista..” . Ma dopo pochi istanti, anche lo scalpiccìo prodotto dalle zampe del cane, svanisce dalla nostra sfera uditiva e Foco sembra come inghiottito dal bosco. Proviamo a seguirlo, non ci resta altra scelta, e iniziamo anche noi quella che ci pare come una discesa in un abisso verde e marrone, gravido di umidità. Trascorrono interminabili alcuni minuti, nel silenzio ovattato del cuore di quella foresta senza orizzonte, rotto solo dal rumore dei nostri scarponi e dal grido garrulo di qualche ghiandaia.
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