Condividi:
Un gustoso pezzo scritto da Audelbert e pubblicato su una rivista francese nel 1919, si proponeva di dirimere una questione che già allora teneva banco fra i cacciatori: l’opportunità o meno di utilizzare il bubbolo nella caccia alla beccaccia. L’opinione di Audelbert era semplice: il sonaglio a beccacce è controproducente quando non addirittura nocivo, tranne nel caso in cui il cacciatore non sia impossibilitato a seguire con la vista o con l’udito il proprio cane. Letta con gli occhi di oggi, quest’affermazione potrebbe apparire del tutto priva di senso, considerando che con le selezioni operate su tutte le razze non vi sono più cani così lenti da poter essere seguiti passo passo nel bosco. All’epoca però non era così; l’autore utilizzava dei cockers che battevano il terreno trottando leggermente accanto al cacciatore e che sorprendevano le beccacce con facilità, senza dunque alcuna necessità di sonagli. Per far comprendere ai suoi lettori quanto deleterio potesse risultare l’impiego del bubbolo sulla beccaccia, il forbito giornalista ricorre ad una divertente parabola, tratta, lui dice, da un suo episodio di vita vissuta.Narra di un giardiniere da lui conosciuto nell’adolescenza, il quale prestava i suoi servigi in un monastero di clausura. Era anziano e benvoluto da tutte le pie sorelle che gli parlavano liberamente quando lo incontravano in giardino, sollevando a volte perfino il velo che copriva loro il viso tanta era la familiarità che papà Giuseppe ispirava. Avvenne però che alla guida del sacro istituto si avvicendasse una nuova badessa particolarmente rigida, che giudicò la presenza del giardiniere una grave infrazione alla vita monastica nonché un pericolo per la comunità claustrale. Pag 2 »





