Non sono trascorsi neanche cinque minuti d’orologio che il batacchio metallico del campano smette di infrangere il silenzio dell’abetaia. Immediatamente cerco di individuare la setterina basandomi sull’ultimo segnale sonoro ricevuto, prima dell’arresto definitivo. Risalgo la scarpata per guadagnare un minimo di visuale e per sfuggire alla presa tentacolare del frascame che vegeta rigogliosamente intorno al corso d’acqua. Percorsi in salita una ventina di metri scorgo Bice in ferma sulla mia stessa altezza a circa cinquanta metri davanti a me. Il respiro, già appesantito a causa della risalita, per qualche attimo si ferma del tutto.
Nonostante la ferma solidissima di cui so capace la generosa cagnina, non posso fare a meno di affrettarmi. L’emozione mista alla fatica sono una pozione micidiale per qualsiasi tempra ed esperienza. Dopo alcuni interminabili secondi raggiungo Bice, la quale non ha modificato di un millimetro la postura conseguita con la ferma. Cerco di calmarmi rispolverando qualche vecchia tecnica di training autogeno, che sorte invece l’unico effetto di aumentare l’ansia. Cerco almeno di non stringere troppo forte la corta e potente doppietta caricata con una cartuccia da tiro in prima canna e con una morbida e magnifica munizione britannica come seconda botta. Lo scoppio fragoroso, quasi fagianesco, di una grossa beccaccia lacera l’atmosfera di apparente calma ovattata che la ferma aveva provveduto a creare. Con l’istinto acutizzato dal pathos, sparo velocemente senza neanche imbracciare. Il volo spezzato della regina s’interrompe a qualche metro davanti al muso di Bice, che immediatamente si precipita al riporto. Sono come svuotato. L’emozione è stata intensa.
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