Risulta intuitivo dunque, come un siffatto sistema operativo, viaggiante sempre e comunque ad una velocità sopra le righe, lo ponga in condizioni di eccellere in ambienti chiusi ai canali d’aria più importanti, quali il bosco fitto o la macchia. Manca il convoglio dell’aria? Poco male: lui innesta la “ridotta”, abbassa il tartufo, s’intrufola, dettaglia, esplora, ritorna sui suoi passi, e riannoda quel filo che aveva incannato poco prima, quando il vento gli aveva portato alle narici un’usta buona, ma ancora remota. E’ il motivo per cui la beccaccia ed il fagiano sono i suoi selvatici elettivi, ed è il motivo per
cui può arrivare sul covo della lepre se incappa negli ultimi metri prima della rimessa. Come potevamo permettere che un simile tesoro sfuggisse dalle mani a noi italiani, cui piace il cane generico ma che corra come un trialer inglese; che dimostri una passione ardente pur
rimanendo in mano; a noi, che pretendiamo che esplori le Grandi Praterie in un battibaleno senza però trascurare il cespuglietto e sempre bucando i rovi più puntuti ed ostili. Ebbene, l’epagneul breton ha dimostrato che esiste la “macchina canina” in grado di coniugare tutte queste qualità, condensandole in prestazioni supportate da una carrozzeria costruita in questa funzione. Questo è un concetto importante: una fisiologia ed un temperamento devono poggiare su adeguate basi meccaniche, che anzi saranno nutrici per uno sviluppo caratteriale ed in definitiva per un lavoro proficuo.Analizziamola, dunque, questa struttura così produttiva..
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