Marco non aveva chiuso occhio tutta la notte. Nella sua mente si affacciava di continuo la piccola ciambella di piume e fieno che stava sul grande ciliegio del giardino, immaginandola inondata dalla pioggia e sconvolta da quel vento terribile e continuo.
Al mattino, il bambino volò fuori dalla casa come attirato da qualcosa che doveva assolutamente controllare e lo avvistò sotto una prodina: era un piccolo uccellino, uno dei quattro fratellini nati sull’albero, nel nido ormai distrutto irreparabilmente. Intorno al piccolo giacevano gli altri, sparpagliati penosamente e riversi nelle più strane posizioni, mentre dei genitori non appariva traccia, né si udiva segnale. Marco raccolse il piccolo uccello, lo guardò come solo i cuccioli sanno guardarsi tra di loro poi chiuse delicatamente le mani e lo portò in casa.
Il papà di Marco era un tenditore di primordine: aveva ben undici fringuelli oltre quaranta tra tordi, merli, sasselli ed altri uccelli da richiamo. Dei piccoli alati era profondo conoscitore ed estimatore, e si vantava di possedere in batteria qualche “tenore” di livello davvero superbo. Pur sapendo che la legge proibiva di tenere in casa dei piccoli da nido, assecondò il figlioletto consentendogli di curare ed allevare il fringuellino dal sesso ancora incerto, con tutto l’amore di cui lo sapeva capace. Marco non deluse le aspettative paterne ed ogni giorno provvedeva personalmente a dare all’uccellino il nutrimento necessario. All’inizio era pane inzuppato nel latte, poi via via pezzettini di frutta, qualche mosca, un insettino, fino a quando l’implume e fringuello sgraziato non si trasformò in un giovane maschietto con le sue spalline argentate che ora cominciavano ad essere visibili.
Sapere che era un maschio era un motivo di gioia in più, poiché, se ne avesse avuto le qualità, sarebbe stato impiegato come richiamo. Mettendo le penne, due o tre piume della testa s’erano ribellate andando contro corrente e facendo assumere all’uccellino un aspetto da birbantello impunito, tale che gli venne assegnato il nome di Ciuffino.
Il papà di Marco percepì che quell’animaletto aveva qualcosa di speciale. Non sapeva bene a cosa attribuire quella sensazione: forse era per il suo strano ciuffo di piume, per l’aspetto ardito o perché era stato l’unico della sua famiglia a salvarsi dal furore della tempesta, fatto sta che Ciuffino un bel giorno di settembre iniziò ad emettere versi talmente squillanti ed argentini da sembrare quasi irreali.
“Spinciona davvero bene”, osservò l’uomo “chissà, forse a portarlo alla tesa male non farebbe”.
Passò ottobre ed entrò novembre. I gorgheggi non destavano più interesse negli uccelli di passo, attirati ora da altre emozioni, e Ciuffino con i suoi singhiozzetti ancora metallici si rivelò vincente per aver ragione degli ultimi ancora in transito.
Paolo, il papà di Marco era davvero contento ed orgoglioso del buon lavoro fatto dal suo bambino; intravedeva in quella pallina di piume ed ossicini un sicuro ottimo cantore che al prossimo settembre non avrebbe sfigurato fra i suoi fuoriclasse.
Da ” I cacciatori non muoiono”, di Gino Dei: Il fringuello e il gigante..
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