Nel mio quarto libro, al capitolo “Quella fila di ontani”, confidai al lettore il mio ultimo desiderio. “Alla mia morte, giacché non volevo essere ingombrante, avevo disposto che le mie ceneri fossero cosparse lungo un ben descritto filare di ontani”. Illudendomi, forse, di tornare utile alla terra.
Nel predetto e in quelli che l’hanno preceduto e seguito ho sempre parlato di ricordi, di avvenimenti e di luoghi belli e brutti e di altri lieti e tristi. Quelli belli restano belli, così come i brutti restano brutti. Lo stesso succede per i lieti e tristi. Mai, però, avrei immaginato che i lieti potessero diventare tristi, per colpe non proprie.
La scorsa estate, come ogni estate, a giorni alterni e a rotazione feci visita ai recessi
dei miei boschi. In compagnia d’impareggiabili amici: i miei cani, Castor del Pratomagno e Iolanda di Casamassima. Venne il turno di “Quella fila di ontani”. Lasciato il fuoristrada a valle, m’incamminai lungo il solito serpeggiante viottolo che s’inerpica su un versante del fianco della collina. La più alta che offre l’orografia della zona. Giunto al solito spuntone di roccia, mi soffermai, come da consuetudine. Ad ammirare il verde ondeggiare delle colline sottostanti. Tutte rivestite da boschi inframezzati da brevi e provvidenziali ecotoni con presenze di coltivi, roveti, arbusti o giovani piante. Castagni, ontani, querce, sugheri, elci e una grande varietà di pini e abeti. E giù, più a valle, eriche, ginestre e corbezzoli: il tipico sottobosco dei sughereti. Rifugio di beccacce, quando la neve scende bassa e fintantoché non dimoia. Un quadro d’insieme, lussureggiante, che è un capolavoro di equilibrati toni di colori, che mutano col variare delle stagioni. Guardai verso la meta prestabilita, da dove l’ho sempre intravista. Non vedendo le chiome degli
ontani, mi venne di stropicciare gli occhi. Col cannocchiale, avvicinai al naso quella sommità. Al posto di “quella fila di ontani”, che sembravano fare da cappello alla sommità della collina, vidi un’assenza completa di vegetazione. Tutto sparito. Mi sembrò la sommità di un vulcano. Preso dallo sconforto, non riuscii a stare in piedi. Mi sedetti. Accarezzai dalla testa alla coda Castor e Iolanda; li fissai negli occhi, quasi a volerli preparare alla sgradita sorpresa. Andai un po’ in confusione. Incredulo, mi rialzai per scrutare di nuovo. La realtà “così brutta mi apparve”…





