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MURGESE: IL NERO D’ITALIA..

Amico Cavallo
2 Maggio 2025 di Mario Sapia
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Il conte di Conversano era quasi un mistico dell’arte equestre, e il sangue d’oriente circolò sempre copioso fra le sue mandrie, dalle quali hanno preso origine senza tema di smentita le più pregiate razze italiane, cugine di primo, anzi primissimo grado fra di loro: il Persano, il Napoletano, il Salernitano e il Murgese. Per somma fortuna di queste razze, e dei loro estimatori, la tradizione allevatoriale di Conversano sopravvisse al conte Andrea, e si perpetuò, seppur con alterne vicende, nei suoi discendenti fino ad arrivare alla fine del Settecento, quando un altro conte fu incaricato dal destino di rinverdire l’eccellenza intellettuale di Andrea Matteo: Giulio Antonio Acquaviva di Conversano.
Giulio Antonio oltre che un eccellente amministratore, era un uomo di cavalli dello stesso calibro del suo avo, e non appena riuscì a risanare le finanze del feudo lasciate esauste dal padre, prese ad importare cavalli arabi e berberi per poter fornire sangue nuovo al parco equino ancora in suo possesso. La fortuna degli audaci, che strizza sempre l’occhio anche ai lungimiranti, lo assistette a dovere e fece sì che Giulio Antonio indovinasse gli acquisti giusti, effettuati a prezzi da capogiro presso alcuni sceiccati arabi ed egiziani, e soprattutto azzeccasse i giusti accoppiamenti riuscendo a produrre cavalli che mai s’erano visti quanto ad armonia delle forme, a intelligenza collaborativa e a docilità di murg 9carattere pur conservando nelle vene tutta la forza del fuoco d’oriente. Spese somme enormi, ma venne ampiamente ripagato dalle vendite dei puledri, contesi fra tutte le case aristocratiche disposte a pagarli, letteralmente, a peso d’oro. L’eccellenza di tale produzione non poteva certo rimanere un fatto privato. Le voci e le notizie volarono di corte in corte, fino a giungere ancora una volta a quella magnifica della Vienna imperiale. Giuseppe II d’Austria gli ordinò, per l’Alta Scuola Spagnola di Equitazione, due stalloni morelli destinati a rimanere nel mito: si trattava di Napolitano e Conversano, due dei sei padri fondanti su cui si basò la prestigiosa razza di Lipizza. Questo passaggio lega indissolubilmente i due grandi cavalli italiani: il lipizzano e il murgese, il bianco e il nero, il nobile e il rustico, il raffinato e il guerriero. Tutt’oggi, se si osservano i soggetti lipizzani di famiglia Conversano o Napolitano, se se ne scrutano i ceselli, i profili, le proporzioni fra masseteri e canna nasale, è facile ravvisare quanto forte sia stata quell’infusione di sangue del sud nelle vene eburnee dei magnifici cavalli del Carso.
Gli eccezionali morelli di Conversano, e delle Murge intere, attraversano al galoppo tutto l’Ottocento, partecipando ad imprese militari, lavorando nei murg 10campi e addirittura affrontando avventure sotto la sella dei più famosi briganti del Sud Italia. Gente come Annicchiarico, Scannacornacchia, il Romano ed il leggendario Carmine Crocco riuscirono a farsi beffe dei borbonici prima e dei piemontesi dopo, solo grazie agli straordinari corsieri murgesi che macinavano cento chilometri al giorno quando i cavalli dell’esercito regolare riuscivano appena a percorrerne la metà. Animali che nessuna fatica riusciva a domare, robustissimi, coraggiosi ed intelligenti oltre ogni dire, montati senza nemmeno essere ferrati tanto forte e sano era, ed è tutt’ora, il loro piede. Cavalli fieri ma umili, che accettarono di alleviare il lavoro dell’uomo nelle campagne, di fargli da mezzo di trasporto sotto condizioni talmente dure da stroncare senza pietà la maggior parte dei loro consimili, di soffrire per l’amico uomo patimenti e privazioni indicibili.
Alla metà del diciannovesimo secolo, la connotazione fenotipica del cavallo murgese e la sua rispondenza col genotipo costituivano già una realtà osservabile e misurabile. Gli scarti eccessivi di statura e proporzione si presentavano molto ridotti, i ritorni di sangue di tipo qualitativo come macchie bianche o balzane erano davvero minimali, i caratteri tendevano tutti verso quella docilità intelligente e propulsiva che avrebbe poi caratterizzato gli indirizzi selettivi nei decenni a venire. In breve, si era formata la razza. murg 19
Il Novecento nasce con la “Belle Epoque”, meravigliosa e dorata, ma già destinata a chiudere per sempre l’epoca romantica e ad aprire il più feroce di tutti i secoli. I cavalli furono protagonisti di una guerra mondiale, furono risorsa, purtroppo anche alimentare, per molta gente, furono ancora una volta sfruttati in ogni modo possibile. La gran parte della popolazione equina d’Italia scomparve e si defedò vertiginosamente, ponendo problemi seri alla ricostruzione di ceppi genetici meritevoli di recupero. Il murgese non sfuggì a questo destino, ma in qualche modo fu più fortunato di altri cavalli. A salvarlo fu la lontananza dal fronte, ma soprattutto la straordinaria capacità di produrre muli, animali d’importanza capitale per le operazioni belliche di montagna: non era conveniente mandare al massacro le femmine murgesi, ma sarebbe stato molto più produttivo metterle a sfornare puledri mulini; e non è un mistero che migliaia di muli impiegati nell’ultimo anno di guerra non avessero nemmeno tre anni d’età.

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