
Daniele con Apache
Prendiamo posto nella parata. L’umidità da fermi punge ancora di più. Pippo il “rosato” e Apache il “ternano”, il piccione di Daniele, sono compunti e compresi nel loro cardinale ruolo di “richiamatori”. Scrutano fra la nebbia sempre tesa e montante, allungano il collo, distendono le ali, a volte compiono uno svolazzìo incitati dal lieve movimento del rullo, azionato da un telecomando, affiancati da due zimbelli impagliati e ben piazzati su quelle branche della pianta che guardano a mezzogiorno. La giornata però non è delle più adatte. La coltre di
bruma riduce molto la visibilità della batteria impendendo al sole di bagnare coi suoi raggi le belle penne lucide delle nostre sentinelle alate. In una caccia in cui molto è affidato alla capacità di attrazione dei consimili selvatici su base visiva, la luce è importante. Il colombaccio è un essere intelligente, libero, un vero e proprio signore dell’aria e del bosco. Ha dalla sua la capacità di un volo che vede pochi paragoni, una resistenza incredibile e l’abilità di cambiare rotta in un istante come il più veloce dei beccaccini. E’ una partita che si gioca sul filo dell’attimo fuggente, in cui i protagonisti del dramma debbono mettere insieme il meglio di ciò che possono dare. Il colombaccio è un despota che non ammette approssimazioni e non perdona ritardi.






