E’ stato perdermi nel Gran Bazar di Teheran, il più grande del mondo con i suoi dieci chilometri di negozi coperti e la folla sciamante. E’ stato fumare il narghilè in una sala nella quale, da fuori, nessun occidentale sano di mente sarebbe mai entrato, ma che invece si è rivelata pulitissima e accogliente, e dove accanto al fumo mi hanno offerto
anche il tè nero della Persia. E’ stato l’accoglienza della gente, il sorriso delle ragazze di una scuola quando le fotografavo avvolte in un austero chador, e la tenerezza quando tentavano di farsi i selfie con me di nascosto pensando che non me ne accorgessi, mentre attorniavano mia moglie come se fosse una regina o una star del cinema. E’ stato il cibo squisito, i sapori equilibrati,
la gentilezza del personale nei ristoranti, di vario livello, in cui ci siamo mescolati alla gente del posto. Ma sono stati anche gli sfarzi inconcepibili del Golestan e del PalazzoVerde, la residenza estiva dello Scià, in cui ori, argenti, stucchi e tessuti si rincorrono in saloni le cui cromie fantasmagoriche difficilmente trovano eguali nel mondo occidentale.
Magico Iran
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