Ebbene, molti a questo punto potrebbero chiedersi quale sia il senso dell’episodio che ho voluto raccontare. In realtà di sensi ce ne sarebbero più di uno, e tutti in relazione a quell’avventura meravigliosa che può diventare una cacciata alle starne. Sono uccelli paradisiaci, che significano secoli di tradizione, di sogni e di gioie per gli uomini venanti di ogni tempo, e tuttavia, come creature appartenenti ad una dimensione da noi vagheggiata e non sempre adeguatamente penetrata, richiedono anche la corresponsione di alcuni pedaggi che non tutti sono in grado di pagare. Diciamo subito che il cacciatore di starne non deve essere un molle. La comodità a caccia non ha mai dato frutto, men che meno se si tratta con un selvatico come la starna. L’uomo dovrà essere in grado di seguire i propri cani con le gambe ma soprattutto col cuore, strumento che più di ogni altro i nostri amici a quattro zampe sono in grado di percepire. Questi, dal canto loro, debbono necessariamente tendere a dominare l’emanazione ed il terreno, ed anche se ogni razza da ferma può cacciare con profitto questo selvatico, il lavoro più classico sarà sempre svolto da quei cani che per formazione e genetica, le starne le portano nel sangue. I cani inglesi, ricordiamolo, si sono formati proprio sulle starne e sulle grouses, che pur essendo appartenenti ad un’altra famiglia, quella dei tetraonidi, tengono un comportamento molto simile alle cugine. Oltre ai britannici, anche i nostri bracchi e spinoni italiani con il loro modo di prendere l’effluvio e di trattarlo appaiono funzionalmente vocati sulle starne, e su questi uccelli fornisce alcune delle sue prestazioni più esaltanti.
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