“Creatore di tutte le cose visibili e invisibili..”. Così recita il Credo, ovvero la formula attraverso la quale attestiamo, convintamente o meno, la nostra fede cristiana e che ogni domenica è previsto recitare durante la messa. Oggi, due d’ottobre, è il giorno che la Chiesa dedica agli angeli custodi, ossia a quella consistente porzione del creato invisibile a cui si accenna nel formulato liturgico, preposta per l’appunto alla custodia delle nostre persone fisiche e spirituali. Secondo la tradizione, gli angeli custodi possiedono personalità e sembianza proprie, e pur obbedendo sempre e comunque alla volontà ed ai comandi di Dio, operano in piena autonomia e discernimento per cavarci dai guai più vari e disparati. Qualcuno li ha visti, tanti altri dicono di vederli, altri ancora sostengono di percepirne materialmente la presenza o di stabilire con loro un contatto interlocutorio. Personalmente, fra i labirinti della mia fede ondivaga e traballante, fatta magari di devozione ma senza ombra alcuna di quella “pietas” che i preti prescrivono ad ogni buon cristiano, la loro esistenza è una delle cose in cui credo di più. Sono diversi gli episodi che potrei raccontare, e che ho personalmente vissuto riguardo questi potentissimi patroni alati, ma quello più di tutti emblematico, è proprio una disavventura legata al mondo della caccia accadutami oltre vent’anni fa, quando ancora la mia barba era tutta nera, il mio cuore ardimentoso oltremisura, e i muscoli tirati a lucido come fusi nel bronzo. Ero andato a caccia in una zona collinare sui monti del Chianti e m’inerpicai per un viottolo che risaliva fra boschetti decidui e piccole vigne familiari, come tante se ne vedono ancora adesso in terra di Toscana. Giunto che fui a destinazione, fermai la macchina al lato della carraia su un terrapieno argilloso e pulito dietro al quale si apriva un profondo strapiombo cespugliato, e feci scendere la pattuglia canina composta da un segugio e tre levrieri. Alcune ore dopo, il cielo d’ottobre che già fin dal mattino era insolitamente livido e mesto, si rabbuiò di colpo e molto presto la pioggerella spinosa e insistente prese ad infoltirsi senza dar segno di volersi fermare. A quel tempo non c’erano gli smartphone, non c’erano le app, e nulla in anticipo era dato conoscere sulle evenienze climatiche incipienti, se non quello che con buona approssimazione annunciava il meteo in tivvù la sera prima. La pioggia diventò un violento acquazzone, e dal cielo plumbeggiante iniziarono a scendere veri e propri torrenti d’una acqua fredda e rabbiosa che assoggettava tutto senza pietà al suo brutale strapotere. In quelle condizioni non solo era perfettamente inutile continuare a cacciare, ma considerando la sterrata che avevo risalito, il permanere oltre nella zona iniziava a diventare anche pericoloso. Richiamai i miei quattro cani, e tutti insieme prendemmo la rotta del ritorno dirigendoci verso il posto dove avevo lasciato la Land Rover. Dopo una mezz’ora di marcia sotto un diluvio di quelli che in questi giorni ci vorrebbero per le nostre campagne riarse, arrivai alla vettura. Mi bastò uno sguardo, e se intuii subito che non sarebbe stato facile venir via da quella trappola di fango in cui si stava trasformando il terreno inondato, mai avrei potuto immaginare quello che da li a poco sarebbe accaduto. Aprii il portellone posteriore del fuoristrada, feci saltare dentro i cani, accesi il motore, innestai le ridotte e tentai di partire. La macchina fece solo un breve salto in avanti, poi fu come se un tappeto volante vi si fosse disteso sotto e invece di tenere la direzione che gli avevo dato, il fuoristrada iniziò a planare lentamente ma inesorabilmente all’indietro verso il precipizio. D’istinto frenai, e fu anche peggio. L’auto compì un giro su se stessa come in un ottovolante da film dell’orrore, e roteò fino a quando non avvertii distintamente che qualcosa aveva bloccato la sua lenta deriva. Al colmo dello spavento, con le mani aggrappate al volante e gli occhi raddoppiati di volume, vidi il muso della macchina che si alzava leggermente davanti a me. Compresi subito, e ancora adesso a quel pensiero sento le ginocchia molli e la scarica di freddo intenso e cattivo che m’investì come se avessi messo il dito su un filo dell’alta tensione. Le due ruote posteriori erano uscite dal terreno ed erano finite a
penzoloni sullo strapiombo. Con il cuore a mille rimasi aggrappato allo sterzo mentre la pioggia continuava a martellare con violenza e formava un immane sipario d’acqua che sfumava contorni e colori, e che già pensavo sarebbe stato il mio ultimo orizzonte su questa terra. I cani, per il senso innato donatogli dalla natura, iniziarono a intuire il pericolo in cui erano finiti e presero a latrare agitandosi furiosamente, aggravando ancor più la situazione e minacciando di rompere l’equilibrio precario della vettura in bilico con la pancia sul bordo dell’abisso che non aspettava altro che d’inghiottirci.”Basta là…buoni là..”, comandavo loro con la voce più calma e suadente che potevo, mentre impietrito guardavo dal retrovisore quelle povere bestie senza avere il coraggio di muovere un muscolo. Sarebbero morti in modo orribile, pensai, e insieme provai una fitta di dolore talmente acuta da sentirla nel corpo. Un istante dopo mi sovvenne alla mente mia moglie che mi aspettava a casa per il pranzo e che non potevo in nessun modo avvertire. I cellulari erano agli albori, fuori dai centri abitati prendevano poco e male, e comunque io ancora non l’avevo. Se pure mi fossi salvato gettandomi fuori dall’auto, non avrei potuto essere a casa prima di diverse ore e lei avrebbe passato momenti d’angoscia inenarrabili non vedendomi tornare. La disperazione mi mordeva come un lupo affamato, finché un sussulto di carattere decise di scuotermi: “Non può finire così”, dissi a me stesso. Provai ad innestare il cambio del differenziale, ma benché fosse potente, il dispositivo non fu in grado di far avanzare la macchina di un solo centimetro senza l’ausilio di almeno una della ruote posteriori. Mi vidi perduto. Fu in quel momento che d’istinto pensai all’angelo custode, vecchia conoscenza appresa da bambino per opera di mia madre, che prima ancora d’andare a scuola m’insegnò a leggere, a scrivere e a recitare le preghiere, e personaggio poi ritrovato nelle lezioni di catechismo tenute da una vecchia zitella inacidita, a cui andavo di malcuore e solo perché obbligato, in vista della prima comunione. In quel caleidoscopio di pensieri irrorati dall’adrenalina pulsante e scanditi al ritmo del diluvio sul parabrezza, mi venne in mente quanto avevo letto in un volume su padre Pio, il quale sosteneva d’invocare l’angelo in qualsiasi necessità, anche materiale ed anche piccola, perché lui è li apposta per aiutarci e non aspetta altro che noi gli si domandi di farlo. Decisi di seguire il suo consiglio. Ebbene, in tempo reale, sentii dentro di me una forte intuizione che mi diceva: “Incomincia a scendere dall’auto”. Lentamente iniziai ad aprire lo sportello, poi posai un piede fuori, scivolai dal sedile, poggiai anche l’altro e di scatto mi buttai di lato pensando che la macchina, perdendo il mio peso si sarebbe squilibrata a favore della metà sospesa e sarebbe precipitata nella scarpata distruggendosi e uccidendo i miei quattro incolpevoli amici che continuavano a guaire di paura. Invece non fu così. La situazione rimaneva drammatica, ma la macchina rimase ferma, sospesa mezza dentro e mezza fuori, anche se sarebbe stata solo una questione di tempo e a breve il terreno allagato, trasformato in un pantano saponoso, sarebbe franato e l’avrebbe spinta inesorabilmente nella scarpata. Sempre obbedendo a quella indefinibile intuizione decisi di ritornare vicino alla macchina, mentre sopra la testa mi pioveva tutta la pioggia del mondo in un inferno d’acqua e fango che poche altre volte nella vita mi è capitato di vederne uguali. Mi accostai con prudenza allo sportello aperto e presi a fare quello che un uomo raziocinante non dovrebbe mai fare in una situazione di quel genere: come invitato da una mente altra afferrai il volante e iniziai a spingere
la Land Rover in avanti. “Proviamo..”, mi sorpresi a pensare. Se il terreno avesse ceduto, lo sportello della macchina giocoforza aperto, mi avrebbe trascinato giù senza nessuna possibilità di scampo. Fu allora che accadde qualcosa di incredibile. In pochi secondi e con uno sforzo limitato considerando il peso, la macchina rientrò tutta sul terreno. Sono sempre stato beneficiario di una notevole forza fisica, ma quello che mi riuscì di fare in quel momento non avrebbe potuto farlo nemmeno Ercole in persona. Nel sollievo indescrivibile che provai, non potevo credere a quello che era appena successo. Immobile, sotto il diluvio scrosciante, guardavo attonito la grossa Land Rover oramai in salvo e tentavo di capire, di afferrare, di realizzare, ma la mia mente non fu in grado di concepire nessun nesso causale, nessun aggancio fisico, nessuna spiegazione logica che potesse confortarmi la ragione. Mi rimisi al volante, chiusi lo sportello e riaccesi il motore. Dosando con prudenza sterzo ed acceleratore riuscii a riportarmi sulla carraia e, metro dopo metro, dopo un tempo che mi parve infinito e sfruttando la discesa, riguadagnai l’asfalto e riuscii a ritornare a casa. Ancora oggi, dopo più di vent’anni, non so dare un volto razionale a ciò che mi accadde quel lontano giorno di ottobre. So solo che una volta, parlando con una persona che si diceva in grado di vedere cose invisibili, questi mi disse: “..ad esempio, la volta quando eri con la macchina piena di cani in bilico sullo strapiombo, ti aiutarono a spingerla il tuo angelo custode insieme a quello di un’altra persona..”. Sbiancai in volto. Si parlava, è vero, di cose celesti, ma io a quel fatto non avevo ancora nemmeno accennato.
Come ho scritto in apertura, potrei dirvi di altri episodi che ho vissuto e che hanno rafforzato in me la fede negli angeli custodi, ma non hanno alcuna attinenza con gli argomenti di una rivista come la nostra. Rischierei di annoiarvi inutilmente, e allora si che nemmeno gli amici invisibili sarebbero in grado di aiutarmi.