Il 1935 è l’anno in cui “Verdi colline d’Africa” vede la luce. Si tratta di un’opera per alcuni aspetti controversa, che non mancò di suscitare reazioni contrastanti nel pubblico e tra gli intellettuali del periodo. Ci fu chi lo stgmatizzò come inconcludente, pochi in verità, e chi lo elesse a proprio modello di narrazione.
Un’ “Avvertenza” apre il libro. Leggiamo: “A differenza di molti romanzi, nessuno dei personaggi e degli avvenimenti contenuti in questo libro è immaginario”.
Ci troviamo dunque di fronte ad un reportage di tipo giornalistico, una trasposizione fedele di quel che avvenne e di quanto è stato detto durante un safari africano vissuto dall’autore. Tra i temi dell’opera, il fulcro centrale è ovviamente rappresentato dal tema della caccia, presentata nei suoi aspetti quotidiani, tecnici, e solo a volte retorici, ma quel tanto che serve. Tuttavia non è solo la caccia a rivestire un ruolo chiave, bensì anche l’altra sua grande passione, ovvero la letteratura. Difatti, davanti al fuoco del bivacco a fine giornata, i personaggi discutono di libri, scrittori e di letteratura toccando non poche suscettibilità di autori contemporanei di Hemingway, che si offesero per i giudizi trancianti espressi attorno a quei falò durante quelle notti nel cuore dell’Africa.
“Eravamo discesi fino a Rift Valley per una rossa strada sabbiosa attraverso l’altipiano, poi su e giù per le colline cosparse di alberi da frutta, intorno a un tratto di foresta, sino alla cresta di quella muraglia da cui si potevano vedere la pianura, la spessa giungla che si stendeva sotto e il lungo scintillio del lago Manyara con le sue rive secche e un’estremità tutta rosa per mezzo milione di minuscoli punti che altro non erano che fenicotteri”.
“Quella notte dopo cena udimmo i fenicotteri levarsi in volo nell’oscurità. Era un rumore simile a quello che fanno le anatre quando si levano prima dell’alba, ma più lento, con un battito più regolare e moltiplicato per migliaia di volte”.
Ernest Hemingway è stato un caposaldo cardinale dell’intera narrativa occidentale per tanti motivi: due di questi sono la semplicità d’espressione e il ritmo narrativo, con le sequenze descrittive abbreviate, magari punteggiate qua e là da giudizi morali, e l’introspezione ridotta a quel minimo indispensabile per il funzionamento della storia. Egli riuscì in un’operazione molto difficile, ovvero rendere chiara la psicologia e le pulsioni interiori di un personaggio attraverso la sequenza ben studiata fra dialogo e azione senza farsi tentare dalla descrittività. Hemingway, per intenderci, non dice com’è questo o quel personaggio, ma porta il lettore a capirlo mediante il comportamento che questo mostra, utilizzando magistralmente termini di uso comune, senza aulicità o ricercatezze glossologiche
Il Nobel di Chicago dunque, possedeva la quasi taumaturgica abilità di raccontare in maniera semplice anche il più complicato dei personaggi e la più ingarbugliata delle situazioni senza sottacere sensazioni e stati d’animo. E se il ritmo che imprimeva alle sue narrazioni secondo alcuni è il frutto degli studi di musica che Hemingway compì fin da giovanissimo, la capacità di narrare in maniera semplice e diretta gli venne sicuramente dalla sua esperienza nel giornalismo e soprattutto dalle passioni fortissime che, come la caccia, ispirarono ogni suo gesto, ogni sua parola, ogni sua grande intuizione.
Edizioni di “Verdi colline d’Africa” se trovano molte oggi in commercio, e in qualsiasi libreria, a prezzi che variano dai 7 ai 10-12 €. Sceglietene una con una buona introduzione e magari con un approfondito commento critico e farete a voi stessi un regalo impagabile, a cui tornerete con gioia più volte anche dopo averlo straletto.