Fra fischi, zirli e gente che passava e concludeva compravendite, davanti alle gabbie di Paolo si trovò a passare un signore dall’aria importante. Era un omone grosso da sembrare quasi un gigante, che camminava con passo solenne ma indagatore, come se stesse cercando qualcosa di davvero speciale. Arrivato che fu sotto la gabbia di Ciuffino, rimase come folgorato. Stette per un poco ad ascoltare i gorgheggi del fenomenale fringuello poi chiese di colpo: “ O di chi è codest’uccello?”
“Gli è il mio!” rispose Marco pronto.
“Quanto vuoi ?”
“Nulla, perchè non lo vendo!” ribattè il bambino un po’ intimidito dal vocione tonante e dalla stazza dell’omone.
“L’ hai allevato tu?”
“in persona e a mano!”
“Bravo. Allora fai bene non venderlo!” concluse l’uomo dando un buffetto al bambino ma seguitando a rimirare quella meraviglia canora.
In quel momento, con in mano un bombolone caldo per il bambino ancora digiuno, arrivò Paolo assalito da una certa fretta di ritornare a casa per portare le medicine alla moglie che la notte prima era stata male, pur sapendo che bisognava aspettare la premiazione prima di levare le tende.
L’uomo lo salutò e gli domandò se quel fringuello fosse davvero il suo: voleva parlare con un adulto, prima di abbandonare definitivamente l’idea di acquistarlo, e Paolo confermò che Ciuffino era di proprietà del bambino.
“Se vi decidete a venderlo vi do, quindici..anzi, ventimila lire..” propose secco l’uomo senza perdersi in chiacchiere. Paolo vacillò, guardò il suo bambino e pensò a sua moglie, malata e bisognosa di cure. La cifra era davvero importante e forse non sarebbe stato giusto rinunciarvi, soprattutto in un momento come quello. Alzò lo sguardo verso la gabbia di Ciuffino e la staccò, senza dire una parola, consegnandola all’acquirente.
“E’ bell’e il quarto che compro! E questo è davvero l’unico a modo mio! ”
L’uomo estrasse un fascio di banconote dalla tasca, e allungò due fogli da diecimila al babbo di Marco, mentre a questo diede una carta da mille:” …con queste ti ci compri le chicche per sei mesi..”. Quindi, si avviò rapido verso il suo furgoncino dall’altra parte della strada, carico di gabbie e di uccellini e custodito da un giovane autista. Marco, attonito, impiegò qualche istante per realizzare ciò che stava accadendo. Poi, mentre nessuno se ne accorgeva, corse verso il mezzo con l’animo avvelenato da un dolore silenzioso. Ciuffino era zitto ed immobile, atterrito da ciò che era accaduto; nonostante ciò, a Marco parve che l’uccellino gli parlasse: lo supplicava di riprenderlo perché sennò non avrebbe più cantato, e che sarebbe presto morto di crepacuore; lui gli rispondeva che la mamma era malata, che non poteva farlo ma che avrebbe chiesto dove sarebbe andato a stare per potersi rivedere.
Una prima lacrima, grossa come un chicco d’uva, iniziò a scendergli lungo la guancia, mentre Ciuffino era ridotto ad una tremante pallina piumosa. In quel momento arrivò l’uomo.
“Sei venuto a salutare il tu’ allievo?” gli chiese senza guardarlo, “… a proposito, come l’hai chiamato?”
“Ciuffino” rispose Marco con un filo di voce cercando, senza riuscirci, di trattenere un singhiozzo. L’uomo abbassò lo sguardo. Vide sulla guancia del bambino il luccicare delle lacrime che si rincorrevano fino alla bocca ridotta ad una fessura.
“Ma…ma tu piangi! Ma per cosa? Per l’uccellino? Oh Gesù…ma perché l’hai dato via se ci tenevi così tanto?”
Marco rimase in silenzio, fissando un punto in basso, fra i piedi. L’uomo capì in un attimo: “..C’è forse qualche malato in casa ?”
“La mamma..” rispose il piccolo senza avere il coraggio di guardare in faccia il gigante.
L’omone rimase immobile per alcuni secondi, come stranito. Poi, con le sue enormi mani afferrò la gabbietta di Ciuffino e la diede a Marco: “Tieni. Di fringuelli, noi se n’ha anche troppi….”
Quindi ordinò all’autista di chiudere il telone, diede la mancia al posteggiatore, e se ne andò.
Da ” I cacciatori non muoiono”, di Gino Dei: Il fringuello e il gigante..
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