Vincenzo Celano mette le cose in chiaro fin dall’inizio, a modo suo: “Sgombriamo subito il campo da qualche possibile equivoco. Chi ha acquistato questo libro pensando di trovarvi magari svolti temi del tipo ‘…La regina del bosco si caccia così..’ oppure ‘..i consigli del vecchio beccacciaio’ ha speso male i suoi soldi e l’unica consolazione possibile alla delusione è adesso quella di non leggerlo.” Ebbene, mi spiace ma devo contraddire pubblicamente il Maestro, poiché ho potuto sperimentare di persona il salto di qualità che ho fatto come cacciatore di beccacce dopo aver letto e metabolizzato quella lontana copia della sua opera. Un salto di qualità in termini di consapevolezza, d’informazione, di sicurezza ed infine d’efficacia, se vogliamo tenerci sul prosaico terreno dei risultati, ma soprattutto una scalata sotto il profilo della comprensione dei piccoli e grandi misteri del bosco e del rapporto fra il mio cane e la dea longibeccuta, affinando gli strumenti dell’anima per poter procedere con dignità in quella cattedrale solenne e sconfinata che è il suo regno. Detto ciò, non può sfuggire, in quella inquietante “Avvertenza” con cui Vincenzo Celano apre il suo libro, un grido di dolore, quasi un’invocazione d’aiuto a sorreggerlo, ad affiancarlo, a stringerci l’un l’altro in una battaglia che al momento attuale appare come perduta e le cui sorti difficilmente potranno essere rovesciate se, come egli indica, il beccacciaio non si preoccuperà di distinguersi dal “beccacciatore”, che ammorba ed asfissia con la sua deleteria presenza, occupando beceramente spazi e tempi sacrali.
Il “Libro della beccaccia” è una miniera, una vena aurifera inesauribile perché l’esperienza d’un maestro non è acqua fresca, nemmeno se lo volesse, ed ogni argomento, scevro dalla più lontana ombra di dogmatismo, viene costellato da considerazioni e distinguo, impreziosito da piccole e grandi perle di saggezza cinegetica, quindi servito sul servizio buono, quello dell’arte della penna che fa gustare come fosse la prima volta anche ciò che ci sembrava d’aver già assaggiato e conosciuto.
Più che il “Libro della Beccaccia”, Vincenzo Celano avrebbe dovuto intitolare la sua opera il “Libro per la Beccaccia”, perchè dalla prima alla duecentosessantunesima pagina non fa altro che parlarle d’amore, con la forza di quel paradossale disincanto romantico dell’uomo del Sud, eternamente innamorato di una dulcinea sfuggente e bellissima, di cui ricorda ogni piega del corpo ma che per pudore antico finge di conoscere appena: “Il ritratto della beccaccia non lo farò. Non lo farò perché c’è in tutti i manuali che descrivono gli uccelli o in tutti i libri che parlano esclusivamente di lei. E poi la mia descrizione sarebbe necessariamente infedele, vaga, imprecisa. Soprattutto carente. Imprecisa e non veritiera come sempre è quella che si fa di qualcosa che si desidera intensamente.” Traspare un rispetto purissimo, una forma d’amor cortese direi se non temessi con questo di adombrare l’eccezionale valenza tecnica di quest’opera magistrale.
“Non ricordo chi e se qualcuno l’abbia detto”, incomincia l’Autore nella sua premessa “…ma la beccaccia è un sentimento; un amore che forse nasce con noi, che sta iscritto nei nostri geni e che poi, quando il clima galeotto lo consente, prorompe sotto forma di passione, al pari del fiore che sboccia perchè la sua latitanza non è più contenibile dal turgore della gemma. Diventa, allora, la beccaccia, la nostra amante prediletta e inseguita chimera.”
Grazie Maestro, per questo e per tutti gli altri insegnamenti.
( PS : La casa Editrice Olimpia come sapete non esiste più da anni. Tuttavia, i libri, ancora si trovano cercando in internet, o presso alcune librerie e qualche fornito banco libri )
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