Accostandomi al “Libro della beccaccia” di Vincenzo Celano ho avuto la medesima sensazione, stanti il dovuto rispetto e le debite proporzioni, che immagino pervada gli esegeti pontifici quando si accingono ad eviscerare un testo agostiniano o un aureo manoscritto dottrinale. Ovvero, ne ho ricavato quell’impressione di forza super tempore che è caratteristica propria di un “cult-book”, di un libro-mito, di un’opera dal valore cristallino e universale. Naturalmente mi riferisco al nostro, di universo: quello di Artemide, variegato ecosistema d’anima e sangue e crogiolo di storia, sentimento e tradizione. Il “Libro della beccaccia” è un raro esempio di letteratura tecnica in cui l’esposizione dei concetti è veicolata dal tratto di una penna davvero magistrale. Il motivo è intuibile: Vincenzo Celano è una di quelle firme che hanno lasciato il segno nella storia centenaria della nostra “Diana” e non v’è nessun beccacciaio consapevole che sulle pagine della rivista non abbia letto e riletto i suoi scritti, non abbia cercato di carpirne i segreti, non abbia sognato d’onorare la regina con gli stessi rituali di cui il grande Maestro di Castelluccio descriveva ogni particolare. Ricordo benissimo quando ragazzino, negli anni settanta, uscendo da scuola acquistavo, insieme a Tex, anche la nostra rivista nella speranza di trovarvi in particolare gli articoli di Celano e d’un altro suo pari, studiandone ogni riga ben più attentamente di quanto facessi con la storia o il latino, e bruciando d’impazienza per poter osservare in pratica quelle prescrizioni che ai miei occhi inesperti apparivano come impenetrabili rituali esoterici. Mi resi conto in seguito, una volta cresciuto e divenuto padrone delle mie esperienze, di come invece non fossero altro che atti d’amore, cantici a volte sottilmente disperati ma sempre pieni di insegnamenti pratici, di rivelazioni, di proposte d’intendere la caccia diverse rispetto a quelle tristemente egemoni in quegli anni dannati.
Acquistai la mia prima copia del “Libro della beccaccia” nell’ormai remoto 1980. La divorai in un pomeriggio, cosa che m’era accaduta solamente leggendo Hemingway, ed alla fine, quando stordito risollevai la testa da quelle pagine mi pareva d’aver compiuto un viaggio meraviglioso in una dimensione sconosciuta e magnifica. Trentasei anni fa il volume era già alla sua seconda edizione ed era considerato il vero e proprio “sussidiario” per colui il quale avesse voluto frequentare la scuola della regina. La dimensione tecnica, in quelle prime edizioni, se la giocava alla pari con quella etica, forse in ossequio ad una riservatezza intellettuale dell’Autore oppure, chissà, per le strategie editoriali dettate dall’epoca o dalle contingenze. L’ultima edizione invece, del giugno 2007, potrei definirla senza timor di dubbio una specie di vademecum spirituale per l’amante della beccaccia e del suo mondo da fiaba.
Il libro della beccaccia, di Vincenzo Celano : A te, o mia regina…
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