Una volta ogni tanto, come ormai con pazienza sapete e sopportate, amici miei che mi leggete e pagate l’abbonamento, vengo a tradirvi. Quest’oggi non parleremo dei temi a noi cari e consoni alla nostra rivista, perché un motivo di più alto interesse punge le nostre menti come un acuminato spillone da maglia: il Festival di Sanremo. “Se ci fosse Pippo Baudo a comandar..”, recitava un simpatico brano di Elio e le Storie Tese una ventina d’anni fa. E occorre dire che mai come nell’edizione del carrozzone più amato dagli italiani incominciata due giorni fa, il geniale giullare dalle sopracciglia cartonate può vantare di essere stato un profeta. Nella prima serata del Festival infatti, abbiamo assistito a qualcosa di non bene definibile, o meglio di impossibile da definire con un solo aggettivo. Achille Lauro, performer sempre a corto di camicie e magliette, alla fine del suo pezzo mugolante, decide in forma autonoma e senza possibilità di equivoco, di passare di grado. E allora, considerando l’ego smisurato che ne caratterizza la personalità, quale posizione migliore da guadagnare se non quella di Gesù Cristo in persona? Quindi prende un bacile pieno d’acqua, e davanti ad undici milioni di persone, ossia ben più degli spettatori che ebbe al tempo nostro Signore, se lo svacanta sulla testa inginocchiandosi in maniera tale che manco san Giovanni della Croce nell’ultima estasi mistica prima di spirare. E così, l’indegno omonimo del grande armatore del passato, con un colpo di scena del miglior Mandrake si trasforma automaticamente in divinità. L’acqua gli cola sui tatuaggi, gli entra nei pantaloni ( meno male che di quelli ne ha qualche paio..), gli fiotta in rivoli tra le pieghe del viso contratto in un’espressione ieratica, e finisce per bagnare il palco dell’Ariston mentre le splendide e opulente coriste dell’Harlem Gospel Choir, continuano in quell’ipnotico ancheggiamento da diario dei sogni, che non smetteresti mai di guardare. “Domenica”, si intitola il brano. Il giorno del Signore, ci dice la chiesa. Parla di come trascorre la domenica uno che ha una moglie de facto, che però appare rompiballe e quindi non intende sposare davvero, e tre figli che essendo bambini le balle le rompono per forza. Il testo sarebbe anche simpatico e il motivo è orecchiabile, forse anche troppo per ciò che il nostro novello autobattista ha l’uzzo di voler rappresentare. Ma mi chiedo, e vi chiedo: c’era davvero bisogno di un atto blasfemo? Era davvero necessario fare il verso a Dio? Evidentemente il Variopinto non riteneva sufficienti né le sue parole, né la sua musica, e meno ancora le voci delle coriste più famose del mondo se ha ritenuto opportuno di corroborare le une e le altre con un gesto dal gusto così ignobile. Ma io, in fondo non ce l’ho con lui. Lauro sa che oggi attaccare la chiesa cattolica è la forma migliore per guadagnare consensi, visualizzazioni, like, e tanti bei soldoni che, da che mondo è mondo, le feste non le hanno mai guastate. Quello su cui sento di puntare un indice più severo,è il direttore artistico del Festival, il ( troppo) buon Amadeus, che avrebbe dovuto vigilare sull’offerta in fase di selezione, e così respingere per tempo l’abominevole carnevalata da sabba di Valpurga. Sapete che c’è? Pippo Baudo non l’avrebbe mai permesso. Ma lui era un conduttore vero, uno che non ebbe indecisioni a strappare fisicamente di bocca la tromba a Louis Armstrong perché stava andando oltre il tempo che avevano concordato, con un gesto che nessuno, prima e dopo di lui, ebbe mai, e mai più, il coraggio di compiere. Fu come chiudere l’audio al presidente della Repubblica durante il discorso di fine d’anno per mandare la pubblicità, o spegnere il microfono a Pavarotti durante il concerto di Caracalla. Pippo Baudo, pur con i suoi passi lunghi, pur con la sua presunzione, pur anche con la sua visione padronale del Festival, al contrario del longibeccuto bonaccione meneghino, il suo mestiere lo sapeva fare bene. Però non è il solo strano episodio in questo novello e floreale festival che avrebbe richiesto la presenza rassicurante e il polso fermo di Baudo. C’è stata una biondina, la Rappresentante di Lista, nomen omen, di ridotte capacità vocali ma di aspetto e furberia silvestre, che è riuscita dove pochissimi sono riusciti. Con mossa altrettanto abile di quella usata per mettere in evidenza le sue parti posteriori accordandosi col testo (“..con le gambe, con il culo,ciao..!), la gattina saltellante è riuscita, sotto gli occhi impotenti di Ama nostro, a chiudere la sua “Ciao Ciao” ( il titolo Bella Ciao è stato già preso da un po’) trasformando il nostro saluto nazionale in un pugno chiuso comunista, subito imitata dagli altri della band e mantenuto a lungo con una compunzione che nemmeno alla Lubianka ai tempi di Breznev. E questo in barba alle centinaia di milioni di vittime del comunismo, alle decine di generazioni condotte alla disperazione, alle civiltà, agli animi, alle coscienze distrutte e vilipese da questa ignobile follia sanguinaria. Ma non scriverò più sull’argomento. Ormai ho deciso di passare all’azione. L’anno prossimo anche io mi presenterò al Festival. Sissignori, avete letto benissimo. L’anno venturo mi iscriverò al festival di Sanremo. E In orbace, stivaloni e camicia nera, salirò sul palco dell’Ariston attorniato da sette almee etiopi in gonnellino svolazzante, intonerò a voce libera Faccetta Nera, la più emblematica delle canzoni dell’Impero, e termineremo, io e le almee, con il più tirato dei saluti romani. Sono ammattito dite? Niente affatto. Se ad una micetta afona che ha sollevato il pugno chiuso, gli intellettuali della sala stampa hanno dato il secondo posto, a me che sono il Re della Savana, che farò il saluto dei Cesari e che di certo afono non sono, come minimo mi faranno ministro. Alalà!
(E sempre viva Pippo Baudo..)
Se ci fosse Pippo Baudo…
Il nido del falcoCondividi: