I talebani non piacciono a nessuno. Non piacciono a noi europei, non piacciono agli americani, e non piacciono nemmeno agli stessi musulmani. Sembravano addormentati, annichiliti dalla meravigliosa potenza del nostro fuoco amico e rigeneratore, e ci apparivano oramai quasi rassegnati a vedere il loro paese sotto l’egida delle “bandiere della civiltà”, governato da un direttorio fantoccio asservito al volere degli scaldasedie dorati di Bruxelles e di Washington. Invece eccoli qua, più forti di prima, più armati di prima, determinati come mai ad imporre la Sharia sul loro territorio e mettere in riga persino gli strapotenti russi e i perfidi comunisti cinesi. Armati fino ai denti, dicevamo. Ma da chi? Non esiste una sola fabbrica di armi e munizioni da guerra in tutta l’Asia centrale e in tutta la regione non vi è alcuna manifattura industriale in grado di produrre automobili. Eppure, i nuovi signori di Kabul dispongono di un arsenale di tutto rispetto e si muovono su macchine e mezzi che appaiono in buone condizioni generali e che da qualche parte avranno pure acquistato. Ebbene, dalle immagini che in questi giorni imperversano su tutte le reti televisive e in internet, pare che i talebani imbraccino fucili M16, carabine M4, mitragliatrici pesanti M2, e utilizzino ottiche di precisione, visori notturni, accessoristica e addirittura buffetteria specifica, tutto in dotazione all’esercito americano. E se per timor di scandalo nutrissimo ancora alcuni dubbi, basterebbe vederli in sella ai leggendari High Mobility Multipurpose Wheeled Vehicle, colloquialmente detti “Humvee” di esclusiva pertinenza del Pentagono, per fugarne ogni traccia in via definitiva. Ma come mai? Sappiamo che gli Usa nell’arco di tre lustri dall’inizio del secolo, hanno rifornito l’esercito afgano di quasi ottantamila veicoli e di qualcosa come settecentomila armi leggere del tipo di quelle che ho elencato più sopra e anche di altre che adesso non ricordo, e sappiamo che il Ministero della Difesa americano era a conoscenza che la metà di queste armi erano state già distolte dalle truppe regolari e consegnate brevi manu alle milizie talebane complici simpatie, nepotismi e cuginaggi vari, dando la stura ad una gestione piuttosto disinvolta degli arsenali di Kabul. Nonostante ciò, il war-business americano ha continuato a produrre e a vendere armamenti in quelle splendide ma vilipese lande centroasiatiche, a consegnare centinaia di veicoli militari e ad armare ufficialmente l’esercito di Karzhai ben sapendo che i funzionari del presidente facevano la cresta rivendendo le merci belliche ai tagliagole nascosti nelle insondabili “yoriqlar” del deserto afghano.
L’America sapeva e taceva. Taceva e vendeva.
Ma la stampa di Washington aveva fiutato qualcosa, e quando pochi giorni fa, prima della caduta di Kabul, i giornalisti hanno chiesto al Segretario Stampa del Pentagono John Kirby se l’Amministrazione avesse elaborato un piano per impedire che gli armamenti americani cadessero nelle mani dei talebani, la risposta del funzionario è stata raggelante: “Siamo preoccupati per la possibilità che le armi da noi fornite cadano in mano nemica, ma non sono in grado di dirvi se vi siano in corso azioni volte ad impedirlo”. Come a dire: tutto sappiamo e nulla possiamo. Stessa rassicurante risposta da parte del generale Taylor, uno dei massimi vertici militari statunitensi: ” Non ho una risposta a ciò che mi chiedete”. O meglio, la risposta il generale ce l’aveva, solo che non poteva darla.
E veniamo a casa nostra. L’efficientissima Unione Europea non si è smentita nemmeno in questa vicenda. Draghi ha chiamato Macron, questo come al solito se ne è fregato e ha telefonato alla Merkel, Angelona nostra ha interpellato il biondissimo Johnson il quale, sbagliando numero, ha disturbato il re di Spagna invece che il suo primo ministro, venendo rimbrottato dal monarca iberico indignato. La contessa Ursula, svegliata in piena notte dal maggiordomo, è volata fino a Bruxelles dove tacchettando col viso tirato e con la sua consueta aria di chi non sa quali pesci prendere ha convocato gli esperti blustellati i quali, per dirla con De Andrè, si sono costernati, indignati, impegnati, e poi hanno gettato la spugna con gran dignità, partorendo l’unica decisione che non dovevano prendere: realizzare dei “corridoi umanitari”. Ossia, invece di imporsi con sanzioni ed embargo ai paesi asiatici confinanti come Iran o Uzbekistan, musulmani come gli afgani e affini per cultura e tradizione, che hanno da subito rifiutato di accogliere i transfughi, l’Unione Europea ha fatto il “beau geste”, la magnifica azione che agli occhi dei più appare intrisa da sentimenti che manco il libro Cuore, ma in realtà nasconde, e nemmeno tanto bene, una pericolosità senza pari. Infatti, alla notizia che i pantaloni europei avrebbero approntato dei voli per fare uscire dal paese quelli che non volevano sottostare al nuovo regime, si è scatenata una folle corsa verso l’aeroporto innescando la reazione dei talebani che fino a quel momento erano rimasti tranquilli. Inizia quindi il dramma: spari sulla folla, bambini gettati oltre i fili spinati, calca in migliaia per prendere un volo per l’occidente destinato ad accoglierne solo poche centinaia, e così rabbia, caos e l’incontrollabile violenza che fatalmente ne sta conseguendo. Ma questo è il male minore. Anche volendo sottacere la colpevole ingenuità tattica e logistica dei vertici europei, l’accoglienza disordinata di così tante persone in così poco tempo ci metterà nelle stesse condizioni in cui si è messa la Germania quando qualche anno fa ha deciso di aprire le porte in massa ai siriani per poi ritrovarsi in casa oltre milleduecento cellule terroristiche e, come bonus natalizio, centinaia di donne violentate durante quella ormai famigerata notte di Capodanno a Colonia. Per vent’anni, in Afghanistan i nostri uomini sono morti uno ad uno in attentati, agguati e aggressioni, vittime prima ancora che dei talebani, delle regole di ingaggio ridicole quando non addirittura offensive. Ti sparano addosso? Prima di rispondere al fuoco devi mandare l’incartamento alla Procura di Roma, e dopo che il giudice ti ha dato il permesso allora potrai sparare anche tu. Secondo i luminari della sinistra italiana ed europea, il talebano sarebbe dovuto rimanere li ad aspettare anche lui il fonogramma del magistrato. Alle nostre truppe è stato detto che erano laggiù per “esportare” la democrazia e per far uscire l’Afghanistan da un cosiddetto “medioevo” sociale, nascondendo però che il vero obiettivo era, ed è tuttora, il controllo del territorio per fini commerciali e strategici. E sapete perché? Perché lo stato asiatico possiede alcuni dei più ricchi giacimenti minerari al mondo, ben superiori a quelli dell’America del Nord e dell’Europa messi insieme. Oro che nemmeno il re Mida, argento a fiumi, litio, ferro, rame la cui quantità è stato calcolato sopperirebbe ai bisogni dell’occidente per centinaia di anni, e poi ancora pietre preziose di ogni genere ed infine, ciliegina sulla torta, quasi due milioni di tonnellate di minerali rari e preziosi per il campo medico, come il lantanio, il cerio e il neodimio. Ma tutto questo gli afgani lo sanno, perché gli studi vennero condotti dai comunisti sovietici durante la loro invasione degli anni ottanta ( ogni tanto qualcosa di utile, non volendo, la fanno anche i comunisti) e poi tenuti segreti fino ai primi anni del nuovo secolo, quando ingenuamente la Società Geologica Afgana di Kabul li rese noti e gli americani vollero sincerarsene subito grazie alle nuove tecnologie di cui oramai, all’alba del ventunesimo secolo ampiamente disponevano. Ebbene tutto ciò, insieme con l’assurda presunzione di voler “esportare” la nostra cosiddetta democrazia, intrufolandoci come comari d’una volta e trattando le tradizioni, gli usi e i costumi locali con quella sufficiente prosopopea progressiarda tipica della cultura globalista, non solo ha impedito lo sradicamento morale e materiale delle milizie del Profeta, ma ha instillato negli afgani una totale disaffezione nei confronti degli europei e degli americani, visti come ospiti irrispettosi, arroganti ed interessati. E non è bastato andare a distribuire le caramelle ai bambini: peccato di autocompiacimento perché la caramella è un bene effimero; non è bastato tuonare contro il burkha: peccato di arroganza perché c’è modo e modo di entrare in un mondo che non è il nostro; non è bastato fare l’elemosina: peccato di vanagloria perché loro sapevano che mentre gli davamo uno noi volevamo centomila. Non è bastato perché gli afgani sono gente fiera del loro passato, delle loro tradizioni, dell’essere figli della steppa arida che li ha partoriti, dell’essere quelli che hanno rimandato a casa a calci nel didietro l’Armata Rossa sovietica senza l’aiuto di nessuno, dell’essere un popolo che sopravvive da millenni in un territorio dove noi non resisteremmo nemmeno una settimana.
Con loro abbiamo sbagliato. La nostra visione del mondo imposta come un Verbo là non ha attecchito. Abbiamo seguito gli americani come servi sciocchi, scimmiottandoli e pendendo dalle loro labbra, e dopo vent’anni di giovani morti italiani e non, le lunghe barbe della Sharia sono ancora là, più forti che mai e questa volta con tanta scaltrezza in più.
“Dovevate scegliere se perdere la faccia o entrare in guerra..” disse Winston Churchill al Parlamento britannico prima dell’entrata nel secondo conflitto mondiale, “.. Ebbene avete perduto la faccia, e avrete lo stesso la guerra.”