Continuando il nostro viaggio nel mondo della pittura inglese dell’ottocento, non può sfuggirci una particolarità di assoluto interesse: dal punto di vista etico-filosofico e dunque sul piano formale e tecnico l’arte britannica ha sviluppato un universo parallelo a quello egemone nel resto d’Europa. Non che non abbia assorbito le febbrili ansie romantiche o le solenni figurazioni neoclassiche, tuttaltro, solo che le ha recepite filtrandole attraverso il crogiolo dei propri secoli e degli eventi del suo passato. Questo fenomeno ha una genesi d’origine storica, ben precisa e determinata dunque da una serie di avvenimenti. Uno di questi, ed anzi forse il più significativo, fu il distacco dalla Chiesa di Roma ad opera di Enrico ottavo, che segnò inevitabilmente un’interruzione del flusso di committenze che di solito prelati e vescovi indirizzavano alle botteghe degli artisti migliori. Il crollo di questa importante risorsa, nonché fucina d’accademie e di stilemi, portò gli artisti stessi, data l’austerità di cui intendevano rivestirsi i nuovi ecclesiastici, ad abbandonare o comunque a ridurre le tematiche a sfondo religioso per rivolgere la loro attenzione verso altri orizzonti, il più importante dei quali era senza meno il mondo della natura con tutte le sue mille diverse implicazioni. I prezzi si abbassarono, l’opera di un pittore divenne di più facile accesso che non venti o trent’anni prima ed i ritratti di questo o quel personaggio a caccia con i suoi cani oppure a cavallo sulle morbide pianure degli shires, incominciarono a rappresentare una fonte d’ispirazione diffusa e benvoluta da una popolazione che comunque aveva fatto da sempre della ruralità uno stile di vita. Tornando alla metà dell’ottocento quindi, ovvero al periodo che ci interessa, proprio sulla scorta di quel percorso storico ed artistico dei secoli precedenti, assistiamo ad un aumento delle rappresentazioni che vedono unici protagonisti cani, cavalli oppure addirittura animali selvatici: scene di caccia, di vita naturale, rappresentazioni di campioni o soggetti di grande valentìa, prendono a diventare un elemento di grande caratterizzazione dell’anima espressiva del Regno d’Albione. Il neoclassicismo, in Gran Bretagna, passa anche attraverso un pointer in ferma che si staglia contro un orizzonte di madreperla, ed il romanticismo attraverso un magnifico interno, in cui magari il nobile cacciatore, stanco della fatica, riposa accanto ad un camino acceso con i levrieri sdraiati ai suoi piedi.
Ed a proposito di levrieri, la figura 1 ci presenta l’inizio di una di quelle leggendarie cacciate ad opera di un esponente di quello che potremmo chiamare il “neoclassico” inglese: Thomas Henwood, in un imponente dipinto datato 1853, illustra la partenza per un “coursing” di un country gentleman, molto probabilmente il committente dell’opera. Ma non è lui il protagonista: i veri primattori sono i due muscolosi greyhounds ed il sauro montato dal cacciatore, ritratti con eccellente perizia anatomica. Sullo sfondo, un aiutante segnala l’avvistamento della lepre con lo sventolìo del cilindro, mentre tutto è proiettato in un paesaggio infinito. L’epoca aurea dei country sports è ufficialmente iniziata.
Ottocento inglese – seconda parte: inizia l’epoca d’oro….
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