Non posso più tacere. E’ vero, sono solo un giornalista di settore e forse non mi perdonerete di occuparmi d’altro che non le tematiche per cui avete pagato l’abbonamento. Pazienza. Sia come sia, questa volta si cambia argomento. La situazione è drammatica, surreale, pericolosissima per la nostra Patria e per noi stessi e nemmeno uno può dirsi esente dal rischio di contagio da quella che troppo in fretta è stata etichettata come “influenza un pò più forte”. Di coronavirus si muore, cari amici. Muoiono soprattutto gli anziani, è vero, ma iniziano a morire anche i giovani. Vorrei fosse chiaro a quelle orde d’imbecilli che si sono affrettati a scappare dalle regioni del nord per ritornare al sud appestando l’intera penisola con strascichi mortiferi, o a quegli idioti pericolosi che hanno fatto le valigie per andare nella casa di vacanza, pensando d’essere colà meno soggetti al rischio d’infezione. Costoro sono dei traditori. Vanno individuati uno a uno, denunciati e perseguiti col massimo rigore, perché tutti potenziali e consapevolissimi untori. Non possiamo considerare responsabili le Ferrovie, e men che meno le forze dell’ordine, poiché non è in alcun modo pensabile che si possano verificare le dichiarazioni di ognuno. Come fai a confutare il monatto di turno, quando con la valigia in mano afferma di ritornare perché deve assistere la mamma lontana e solitaria, o deve riparare alla casa dei genitori perché lo hanno appena sfrattato? Che dovrebbe fare il poliziotto? Telefonare dalla stazione alla madre in questione e chiederle “signora, è vero che lei ha bisogno di suo figlio?”. Non rendersi conto di quanto danno è stato fatto con la fuga precipitosa significa essere nella più nera malafede immaginabile. Vuol dire essere nello stesso momento complici e mandanti di un nemico invisibile spietato e soprattutto cieco, che non esiterà a colpire anche gli stessi che lo stanno aiutando, perché, da che mondo è mondo, non è nella natura di un virus tributare lealtà o provare gratitudine. Questo vale anche per gli sportivoni che non possono fare a meno di andare a correre, dopo che per quarant’anni l’unico sport praticato è stata la corsa dalla sdraio al frigorifero, e per gli idioti che ancora vanno in giro in coppia, o addirittura in tre, a volte sbaciucchiandosi. Ragazzi, fidatevi, certe cose si fanno meglio sul divano. Detto questo, passiamo ad altro. Anche se qualcosa si sta muovendo, non abbiamo più mascherine, per tacere dei respiratori e di altre attrezzature utili ad aiutare chi già sta male. Nelle settimane passate abbiamo cercato di acquistarle, ma paesi canaglia hanno bloccato alle frontiere la merce in uscita o in transito, requisendola senza misericordia. Tuttavia, mentre sarebbe stato quantomeno benevolente immaginare il contrario, è assolutamente disgustoso il comportamento di un paio di aziende italiane colte a spedire fuori confine le mascherine, solo perché queste venivano pagate loro molto di più di quanto non avrebbero realizzato in Italia. Per intenderci, è come se un tuo familiare stesse morendo e tu invece di fornirgli il medicinale te lo vai a vendere perché così guadagni il doppio. Per individui del genere l’unica paga è quella di Giuda: quattro monete per comprarsi una corda, e la dannazione eterna. E’ un momento in cui tante cartine tornasole stanno diventando blu. La cartina di quei paesi che mentre gridavamo aiuto, cercavano di spolpare l’Italia pensando di essere invulnerabili e credendo scioccamente che fossimo solo noi, italiani cialtroni, a doverci chiudere in casa e correre verso il baratro della miseria. Volete i nomi? Vi faccio anche i cognomi: la Francia di Macron e la Germania della Merkel. La prima, tradizionalmente ostile, e di brutto, all’Italia aveva all’inizio tenuto un atteggiamento di sufficienza sostenendo, per bocca del suo presidente, che “il virus non ha frontiere” e così rifiutandosi di porre in atto le misure che da due giorni ha invece dovuto adottare, ovvero le stesse che noi, primi in Europa abbiamo frettolosamente ma efficacemente impiegato. Il gaio Emmanuel, in nome di un’idea europeista che dopo questa tragedia andrà ripensata radicalmente, pur essendo stato avvisato già fin dai giorni della merla ha preferito correre il rischio per non compromettere le elezioni del proprio candidato a sindaco di Parigi, mettendo in pericolo i suoi cittadini, e, per il noto principio dei vasi comunicanti anche quelli degli altri paesi, salvo poi capitolare e considerare “il modello italiano” come l’unico possibile. La Germania poi, sempre attenta ai soldi quando si tratta degli altri, non ha esitato a mettere in campo 550 miliardi di euro per salvaguardare le proprie imprese e l’economia nazionale. Non so se vi è chiaro quanti sono 550 miliardi di euro. Basti pensare che a stento l’America può permettersi una cifra del genere. Però, fino a quando il pandemonio era solo nostrano, ci concedevano le briciole, duecento milioni: la mancia della serva. Come a dire, problemini vostri. Il Bundestag ci faceva le pulci per ogni zerovirgola e probabilmente auspicava per noi le stesse misure che all’epoca della troika vennero introdotte per la Grecia. Nessuno parlava, nessuno commentava, nessuno agiva sotto la bandiera blustellata. Ma poiché la verità è fatta di quella volgare materia che tende sempre a venire a galla, ci ha pensato Christine Lagarde, l’aquila di Strasburgo, ad interpretare l’epidermico sentimento antitaliano che albergava, e alberga tuttora, ai piani alti della città più piovosa del continente. “Non siamo qui ad abbassare gli spread”, aveva dichiarato madame, dimenticandosi di essere il presidente della Banca Centrale Europea e non la comare della porta accanto, anche se forse farebbe miglior figura alle riunioni di condominio che non a quelle dove si decide della vita e della morte di imprese, istituzioni e famiglie. A questo ferale annunzio, la contessa Ursula Gertrud Albrecht von der Leyen, fedelissima dell’immarcescibile Angelona nostra, dopo aver sobbalzato sulla poltrona in pelle umana nel suo castello in Sassonia, si è affrettata a trillare “siamo tutti italiani”, con lo stesso sorriso sincero che il coccodrillo del Nilo riserva alla gazzella in abbeverata prima dei pasti. Adesso sono tutti italiani, fino a qualche giorno fa, gli italiani eravamo solo noi. L’economia globale finirà a gambe all’aria. Questo si sa già, e purtroppo non vi sono ragioni per dubitare sulle previsioni di tutte le agenzie di rating che prevedono un tasso di crescita europeo inferiore all’uno per cento. Ciò significa che per comprare qualcosa che prima pagavamo cento euro, ne dovremo spendere centodieci. Sarà come è stato dopo l’ultima guerra, quando tutto era in ginocchio e solo il coraggio e l’abnegazione dei singoli e delle comunità ha permesso di ricostruire e di andare verso quel boom, quella espansione che ha portato l’Italia da nazione sconfitta che era a sedere tra le più importanti potenze del mondo. Ad ogni crisi profonda segue una rigenerazione costruttiva ed importante, questo ci insegnano i re della finanza rimarcando però come sarà inutile la sola arma finanziaria se non verrà affiancata da quella fiscale. Devono capirlo i governi nazionali, e dovrebbe recepirlo, se ne è in grado, anche quel circo Barnum che a Bruxelles decide a tavolino ( il Parlamento europeo conta quanto la bocciofila) sulle sorti di tutti noi. E’ dura. Sarà ancora più dura dopo, ma ci rialzeremo. E quando lo faremo, dovremo dire grazie a quelli che in questi momenti di guerra contro un nemico che uccide non visto, sono in trincea per salvare la vita a chi sta cadendo, a chi è ferito, a chi è solo. I nostri medici, infermieri e operatori sanitari che ogni giorno sacrificano il tempo e a volte la vita, senza una pausa, senza un rifiato, senza pensare che il nemico si può nascondere dentro ogni stanza d’ospedale col coltello tra i denti, pronto a pugnalare a morte. Vorrei ringraziarli tutti, ma ne conosco bene solo quattro: si chiamano Enzo, Anna, Grazia e Simonetta; medici i primi due, poi un’operatrice socio-sanitaria, l’ultima un’infermiera. Un padre di famiglia, quindi donne, mogli e mamme che tutti i giorni partono per questa guerra fatta di silenzi, di rinunce e a volte anche di lacrime. Ringraziando questi combattenti in prima linea, estendo la mia gratitudine a tutti gli Enzo, le Anna, le Grazia e le Simonetta che non conosco e che vorrei, se potessi, stringere in un abbraccio con l’orgoglio di italiano. Un italiano inutile rispetto a loro, ma consapevole di come il grande cuore che gli batte in petto, sia accompagnato da quello di tutti noi, uniti in un palpito solo per la salvezza della nostra gente, del futuro e dell’Italia.
E adesso, se volete, l’abbonamento disditelo pure.
Cuore Italiano
Il nido del falcoCondividi: